La collocazione del gallo-italico nei due sistemi superiori può quindi variare nei diversi campi di studio, in quanto talvolta considerato nell'ambito delle lingue gallo-romanze e talvolta invece in quello delle lingue italo-romanze[8].
Tra il XIII e il XV secolo diedero vita ad una lingua letteraria comune, all'epoca conosciuta come lombarda, prima dell'affermarsi della moderna lingua italiana[12], in diglossia con la quale continueranno ad essere parlate[13].
Successivamente, a partire dal V secolo a.C., l'area vide la penetrazione da nord delle Alpi di tribù galliche, di lingua celtica: tali popoli fondarono diverse città, come Milano, ed estesero la loro presenza fino all'Adriatico; la lingua gallica parlata a sud delle Alpi in questo periodo prenderà il nome di gallico cisalpino.
Il loro sviluppo venne fermato dall'espansione romana a partire dal III secolo a.C.: dopo secoli di lotte, nel 194 a.C. l'intera regione divenne una provincia romana con il nome di Gallia Cisalpina (ossia "regione dei Galli", nome usato dai romani per indicare i Celti, "da questo lato delle Alpi").
Nel corso degli anni, la cultura e la lingua dei Romani, il latino, si sovrapposero e finirono per sostituire quelle precedenti, così come più tardi nella Gallia transalpina; tanto che nel 42 a.C. la provincia della Gallia Cisalpina fu infine abolita e l'Italia romana venne a inglobare tutti i territori a sud delle Alpi.
La lingua parlata non perse comunque ogni traccia di quelle precedenti, portando alla formazione di un volgare locale con tracce fonetiche e lessicali di vari substrati (soprattutto gallico, ma anche venetico, ligure, retico, etrusco)[11], conservando così i legami della regione con la Gallia transalpina, e parlandosi quindi di un'unica ampia popolazione gallo-romana, che sopravvivrà all'Impero; come scrive Giovan Battista Pellegrini nel saggio Il cisalpino e il retoromanzo (1993):[14]
«L'Italia settentrionale nei secoli del tardo impero ed in quelli successivi sino al 1000 (forse anche dopo) risulta strettamente collegata con la Gallia sul piano politico e linguistico; si può parlare senza tema di errore di un'ampia 'Galloromania' che include non soltanto la Rezia ma anche la Cisalpina con buona parte del Veneto.»
Dopo le prime difficoltà, le relazioni tra i dominatori Longobardi e la popolazione gallo-romana migliorarono, e la lingua e la cultura longobarda si assimilarono con quella preesistente, come è evidente dai numerosi nomi, parole e leggi affermatisi in quel periodo; il regno longobardo terminò nel 774, quando il re dei FranchiCarlo Magnoconquistò Pavia ed annesse il Regno Longobardo all'Impero carolingio, cambiandone il nome in Regno d'Italia.
Ciononostante, la porzione superiore del Regno longobardo, detta Langobardia Maior, in contrapposizione alla Langobardia Minor incentrata nel Sud Italia, lascerà in eredità il proprio nome (Lombardia) a tutta l'area, che sarà ancora utilizzato per indicare l'Italia settentrionale[15], poi ridotta a quella nord-occidentale[16], fino alla fine dell'età moderna[17]: l'identità linguistica di questa regione resterà quindi visibile anche nei secoli del Basso Medioevo, quando - a partire dal XII-XIII secolo, con la diffusione delle pubblicazioni in volgare - si sviluppò una lingua letteraria comune a tutta l'Italia settentrionale, all'epoca conosciuta come lingua lombarda (oggi indicata invece come koinè padana, o anche lombardo-veneta o alto-italiana)[12].
«Fu già da molti osservato che durante i primi due secoli della nostra letteratura allato alla lingua del centro d'Italia [...] esisteva nel settentrione d'Italia una specie d'idioma letterario, il quale sebbene in certe parti tenesse or dell'uno or dell'altro dialetto, secondo la patria dello scrittore, aveva però molti caratteri comuni. Era un parlare non privo di coltura, con non poche reminiscenze latine, con gran numero di quelle eleganze che non erano né toscane né provenzali né francesi esclusivamente, ma proprie di tutti gl'idiomi neolatini, che nel medio evo pervennero a letterario sviluppo. Se le condizioni letterarie e politiche le fossero state propizie, una tal lingua scritta si sarebbe fissata nel settentrione dell'Italia e sarebbe diventata un nuovo idioma romanzo, molto affine all'italiano, ma pure distinto da esso [...]. Per buona ventura dell'Italia tali condizioni mancarono; cosicché fra breve quest'ombra di lingua letteraria, speciale al settentrione, sparì, ed i dialetti si restrinsero nei limiti loro naturali»
(Adolfo Mussafia, Monumenti antichi di dialetti italiani, 1864, pag.229)
La koinè lombarda sopravvisse fino al XV secolo, quando iniziò ad affermarsi la norma toscana, che porterà progressivamente all'adozione della lingua italiana moderna come lingua tetto (ossia come lingua scritta comune, a livello letterario e formale) anche di tutta la regione alto-italiana; solo successivamente all'Unità d'Italia, però, l'italiano standard diverrà una lingua diffusamente parlata, affiancando - e spesso sostituendo - le lingue gallo-italiche nell'uso comune.[18]
Il gallo-italico è stato quindi parlato negli ultimi secoli sempre più in diglossia con l'italiano (situazione che indica l'alternanza di due o più lingue/dialetti di registro diverso nello stesso gruppo di parlanti)[13]; durante quest'ultimo periodo le varietà gallo-italiche hanno assorbito, in misura diversa, elementi fonologici, morfologici e lessicali di tipo toscano (processo definito appunto di toscanizzazione[19]), allontanandole parzialmente dalle altre lingue gallo-romanze e dando luogo alla situazione odierna[20].
Nel 1853 il linguista Bernardino Biondelli ha realizzato il primo studio dialettologico sistematico su questa famiglia linguistica, il noto Saggio sui dialetti gallo-italici, nel quale ha ripartito il gallo-italico in tre varietà principali, a loro volta suddivise in diversi gruppi e dialetti, indagandone la storia e le caratteristiche salienti: lombardo, emiliano (comprendente anche il romagnolo) e pedemontano (oggi detto piemontese), non includendo però nella sua definizione di gallo-italico non solo il veneto, ma nemmeno il ligure[3]; le definizioni e le analisi del Saggio sono state alla base di numerose opere successive.
Rappresentazione delle lingue e dei dialetti d'Italia incluse le minoranze linguistiche. Le lingue gallo-italiche sono marcate in diversi toni di verde.
La classificazione del veneto come lingua gallo-italica non è accettata da tutti i linguisti; se siti come Ethnologue e Glottolog lo classificano tuttora come lingua gallo-italica,[24][25] la Treccani in articoli recenti esclude il veneto dalla lingue gallo-italiche, perché «i dialetti veneti si distinguono nettamente dai dialetti gallo-italici.»[26][27]
l'utilizzo del pronomecliticosoggetto obbligatorio, come in francese, data la caduta delle finali nelle coniugazioni dei verbi;
la forma tonica dei pronomi personali soggetto derivati dalle forme oblique ME e TE che hanno sostituito le forme EGO e TU (vedi lombardo, ligure e piemontese /mi/ e /ti/, e l'emiliano /me/ e /te/);[31]
la risoluzione palatale autonoma dei nessi CL e GL in /ʧ/ e /ʤ/ (es. latino clavem > lombardo /ʧa:f/, "chiave"), seppur alcune zone periferiche conservano gli originali nessi latini, mente altre presentano le forme intermedie /c/ e /ɟ/;[29]
metafonia, tuttavia questo carattere è in forte declino ed è scomparso dalla maggior parte dei dialetti urbani.[32]
Caratteristiche che furono invece proprie dei dialetti gallo-romanzi dell'Italia settentrionale in epoca medievale, ma retrocessi rapidamente nel gallo-italico e sopravvissuti fino ad oggi solo in alcune varietà alpine isolate, sono:[33][34]
il mantenimento dei nessi consonantici in presenza di /l/: ad esempio i lombardo-alpini/blank/ (it. "bianco"), /klaf/ (it. "chiave"), /ˈflama/ (it. "fiamma"), /glaʧ/ (it. "ghiaccio"), /pløf/ (it. "piove"), analogamente ai francesi blanc, clef, flamme, glace e il pleut;
i plurali sigmatici e la coniugazione della seconda persona del singolare con -s finale, con i primi perduti intorno al XIII secolo, portando così alla differenziazione dalle lingue retoromanze.
Diagramma riassuntivo della classificazione delle lingue romanze, nel quale il gallo-italico è rappresentato contemporaneamente sia nel gruppo romanzo occidentale, insieme al gallo-romanzo, sia nel gruppo tradizionale dell'italo-romanzo.
In altri casi, per ragioni di natura prevalentemente sociolinguistica, viene collegato alla famiglia delle lingue italo-romanze, in considerazione soprattutto della convivenza con l'italiano quale lingua tetto e della situazione di conseguente diglossia con esso protrattasi negli ultimi secoli[34][49][50][51].
La classificazione di Ethnologue (compendio di lingue pubblicato dal SIL International) inserisce attualmente le lingue gallo-italiche, tra le quali è incluso il veneto, nel gruppo gallo-romanzo, assieme al gallo-retico, che a sua volta riunisce le lingue d'oïl (francese e francoprovenzale) e quelle reto-romanze [54]:
Allo stesso modo, l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani include il gallo-italico nelle definizioni di galloromanzo (all'interno del suo dizionario)[42] e di dialetti galloromanzi (nella voce dell'enciclopedica)[43].
Altri linguisti, del passato e del presente, hanno proposto dei sistemi di classificazione che prevedono l'apparentamento delle lingue gallo-italiche al galloromanzo: Pierre Bec, linguista francese e occitanista, parla direttamente di galloromanzo d'Italia o cisalpino[55]; Max Pfister dell'Università di Saarbrücken è sulla stessa lunghezza d'onda[56]; anche un recente studio dialettometrico ha dato ulteriore sostegno a questa posizione[57]
Molte di queste considerazioni sono state espresse nel Convegno internazionale di studi, svoltosi a Trento il 21-23 ottobre 1993 e intitolato Italia Settentrionale: crocevia di idiomi romanzi[58]; queste tengono anche conto dell'esistenza, nei secoli precedenti al Cinquecento, della koinè lombardo-veneta (all'epoca citata come lombardo[12]), una lingua letteraria comune che arrivò a un certo grado di assestamento, prima di retrocedere di fronte al toscano[59].
La classificazione più comunemente oggetto di insegnamento nei maggiori atenei italiani divide gli idiomi parlati in Italia nei gruppi retoromanzo, italoromanzo e sardo.[44]
La prima suddivisione del sistema italoromanzo proposta fu da Giovan Battista Pellegrini nei gruppi alto-italiano, toscano e centromeridionale (esclusi i gruppi retoromanzo e sardo, solo in seguito considerati autonomi)[60]; una classificazione più recente distingue però i gruppi gallo-italico, veneto (ancora a volte chiamati nel loro insieme come alto-italiani), toscano, mediano, meridionale e meridionale estremo[61]:
Tra i linguisti che hanno incluso i dialetti gallo-italici tra i dialetti italoromanzi, si ricorda il linguista Gerhard Rohlfs[62] che, nella sua Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, include nella sua analisi tutti i dialetti settentrionali italiani (piemontesi, liguri, lombardi, emiliano-romagnoli e veneti, incluso il dialetto lombardo parlato in Svizzera) da lui considerati dialetti italo-romanzi, nel mentre esclude dalla trattazione il ladino e il friulano (lingue retoromanze).[63]
Secondo il dialettologo Fiorenzo Toso, i caratteri che il gallo-italico condivideva con le lingue gallo-romanze sono ancora presenti nel primo solo residualmente (come il plurale in -s e la conservazione dei nessi consonantici); sarebbe quindi proprio la scomparsa di questi fenomeni a fissare in maniera ormai consolidata il confine tra gallo-romanzo e italo-romanzo sulle Alpi occidentali.[34]
Comparazione della frase: "Chiude sempre la finestra prima di cenare."
^ Adam Ledgeway e Martin Maiden, The Oxford Guide to the Romance Languages, Oxford University, 2016, p. 66, ISBN9780199677108.
«There is a large zone in the centre of the Romània where alla major language groups (except Romanian) are directly in contatct. [...] This contact zone is characterized by numerous transitions and continuities. Gascon and Catalan form a transition between Ibero- and Gallo-Romance; Francoprovençal functions as a mediator between northern and southern Gallo-Romance; and the three dialect groups of Raeto-Romance constitute the transitional area between Gallo-Romance and Italo-Romance, especially the northern Italian dialects which are best grouped under the label 'Gallo-Italic'»
«fra l'italoromanzo ed il galloromanzo abbiamo il gruppo dei dialetti galloitalici, i quali [...] formano un ponte fra l'italoromanzo ed il galloromanzo ed anzi, per certe notevoli caratteristiche, concordano forse più con quest'ultimo»
^ Marcello Barbato, La classificazione delle lingue romanze, in Le lingue romanze: Profilo storico-comparativo, Editori Laterza, 2017, p. 168, ISBN978-88-581-2848-0.
«Il dalmatico fa da ponte tra il balcanoromanzo e l'italoromanzo, il galloitalico e il "ladino" tra questo e il galloromanzo, il catalano tra il gallo- e l'iberoromanzo»
^ Lissander Brasca, 4. Mixing methods in linguistic classification, in Contested Languages: The hidden multilingualism of Europe, John Benjamins, 2021, pp. 66-67, ISBN9789027260383.
«According to the pro-Italo- tradition, Gallo-"Italic" would be genetically Gallo-Romance, but a structural-linguistic convergence has take place over the centuries, such that the ancient Gallo-"Italic" became so highly Tuscanised that, in these scholars' opinion, the classification as "Italo-Romance", or even "Italian dialects", seems more suitable for the modern geolects of Northern Italy. [...] Wartburg (1967) is the only pro-Italo- study that proposed a classification for Gallo-"Italic" formally based on exclusively structural-linguistic criteria, without apparent recourse to socio-political arguments. Here Gallo-"Italic" seems to be considered Gallo-Romance in terms of genetic development, but would have then "become Italian" due to a structural convergence beginning in the Middle Ages»
^Lares, Vol. 45, No. 3 (Luglio-Settembre 1979), pp. 438-440.
«Carta dei Dialetti d'ltalia di Giovan Battista Pellegrini («Proflo dei dialetti italiani» a cura di Manlio Cortelazzo,O), Pisa, Pacini 1977 (Consiglio Na-zionale delle Ricerche Centro di Studio per la Dialettologia Italiana, 5), pp. 68 e carta allegata.
La carta è stata presentata al XIII Convegno della Associazione Italiana di Cartografa, tenutosi nella terza decade dell'ottobre 1977, nella sede dell'Istituto Geografco Militare. In essa sono distinte, con altrettanti colori: 14 aree (sistemi) dialettali: franco provenzale (con due varietà); provenzale; gallo-italico (con quattro varietà); veneto; ladino (con due varietà); friulano (con tre varietà); tedesco (con quattro varietà); sloveno (con sette varietà); toscano (con sei varietà); mediano (con quattro varietà); meridionale intermedio (con quattro varietà); meridionale estremo (con tre varietà); logudonese campidanese (centro-sud sardo); sassarese-gallurese (nord sardo; con quattro varietà).»
^abcGlauco Sanga, La lingua lombarda. Dalla koinè alto-italiana delle Origini alla lingua cortegiana, 1990. In: Sanga, Glauco (a c. di), Koinè in Italia dalle origini al Cinquecento, Bergamo, Lubrina: 79-163, pp. 146-147.
^ Gian Lodovico Bertolini, Sulla permanenza del significato estensivo del nome di Lombardia, in Bollettino della Società geografica italiana, XXXVII, Roma, 1903, pp. 345-349.
^A partire dal XIX secolo il termine Lombardia si è infine a ridotto ad indicare la sola sezione occidentale del Regno Lombardo-Veneto austriaco, facente capo all'amministrazione di Milano, da cui il nome della odierna regione amministrativa.
«Fu già da molti osservato che durante i primi due secoli della nostra letteratura allato alla lingua del centro d'Italia (che mercé i numerosi ed illustri suoi scritlori si sollevò ben tosto alla dignità di lingua scritta, comune all'intera penisola) esisteva nel settentrione d'Italia una specie d'idioma letterario, il quale sebbene in certe parti tenesse or dell'uno or dell'altro dialetto, secondo la patria dello scrittore, aveva però molti caratteri comuni. Era un parlare non privo di coltura, con non poche reminiscenze latine, con gran numero di quelle eleganze che non erano né toscane né provenzali né francesi esclusivamente, ma proprie di tutti gl'idiomi neolatini, che nel medio evo pervennero a letterario sviluppo. Se le condizioni letterarie e politiche le fossero state propizie, una tal lingua scritta si sarebbe fissata nel settentrione dell'Italia e sarebbe diventata un nuovo idioma romanzo, molto affine all'italiano, ma pure distinto da esso, a quel modo ed ancor più che il catalano, a cagion d'esempio, era dal provenzale. Per buona ventura dell'Italia tali condizioni mancarono;
cosicché fra breve quest'ombra di lingua letteraria, speciale al settentrione, sparì, ed i dialetti si restrinsero nei limiti loro naturali, e quando molto più tardi si cominciò a scrivere in essi e si vennero formando le letterature vernacole, l'unità della lingua era ormai si fermamente stabilita da non averne a temere verun nocumento.»
«Nonostante sia difficile tracciare confini entro l’area neolatina, le varietà linguistiche venete hanno una loro individualità: nel panorama dialettale dell’Italia settentrionale i dialetti veneti si distinguono nettamente dai dialetti gallo-italici (piemontese, ligure, lombardo). L’attuale situazione di autonomia e differenziazione interna dipende da un lungo itinerario storico, le cui vicende sono solo in parte ricostruibili con sicurezza.»
^AA. VV. Conoscere l'Italia vol. Marche (Pag. 64), Istituto Geografico De Agostini - Novara - 1982; Le Regioni d'Italia, Vol X Collezione diretta da Roberto Almagià, Pubblicazione sotto gli auspici del Comitato Nazionale per la celebrazione del centenario dell'Unità d'Italia, 1961; Flavio Parrino, capitolo sui dialetti nella Guida d'Italia - volume Marche del Touring Club Italiano. In tutta la provincia di Pesaro-Urbino, nella parte settentrionale di quella di Ancona (zona di Senigallia) e nell'area del Cònero si parlano indubbiamente dialetto gallo-italici. In tutti gli studi citati i dialetti gallici parlati nelle Marche vengono definiti "gallico-marchigiani" o "gallo-piceni"
^Dialetti romagnoli. Seconda edizione aggiornata, Daniele Vitali - Davide Pioggia, Pazzini Editore, Verrucchio (RN), 2016
^ Francesco Avolio, Dialetti umbro-marchigiani, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010-2011. URL consultato il 31 dicembre 2016.; Biondelli, p. 202; Francesco D'Ovidio, Wilhelm Meyer-Lübke, Grammatica storica della lingua e dei dialetti italiani, su archive.org, Hoepli. URL consultato il 25 settembre 2014.; Giacomo Devoto e Gabriella Giacomelli, I dialetti delle regioni d'Italia, Sansoni Editore, Firenze, 1991, pag. 55 e pag. 75; Loporcaro Michele, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Editori Laterza, Bari, 2009, pag. 105
^Hull, Geoffrey (1982): «The linguistic unity of northern Italy and Rhaetia.» Ph.D. diss., University of Sydney West.
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^Pellegrini, Giovanni Battista (1975). "I cinque sistemi dell’italo-romanzo", in Saggi di linguistica italiana. Storia, struttura, società, Torino, Boringhieri.
^Pellegrini, Giovanni Battista (1970). La classificazione delle lingue romanze e i dialetti italiani, in Forum Italicum, IV, pp.211-237
^Gerhard Rohlfs: “Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti”, edizione del 1969 in lingua italiana
^Italia Settentrionale: Crocevia di Idiomi Romanzi - Atti del convegno internazionale di studi - Trento, 21/23 ottobre 1993", a cura di Emanuele Banfi, Giovanni Bonfadini, Patrizia Cordin, Maria Iliescu. Tübingen: Niemayer, 1995. ISBN 3-484-50304-1
^Koiné in Italia dalle Origini al Cinquecento - Atti del Convegno di Milano e Pavia, 25-26 settembre 1987 - a cura di Glauco Sanga - Pierluigi Lubrina Editore - Bergamo 1990
^da Treccani - Enciclopedia dell’italiano: “Rohlfs, Gerhard. - Glottologo e filologo (Berlino 1892 - Tubinga 1986). Profondo conoscitore e indagatore della situazione dialettale italiana, a lui si deve la sintesi di grammatica storica della lingua italiana e dei dialetti italoromanzi a tutt'oggi più vasta e valida (Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihre Mundarten, 3 voll., 1949-54; trad. it. 1966-69)”
^Gerhard Rohlfs: Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 1969.
Nella prefazione alla edizione in lingua italiana (anno 1969), alla nota 1, si legge: “La Sardegna resta fuori dalla cornice di questa grammatica, come pure i dialetti del Friuli e delle Dolomiti, appartenenti al gruppo del ladino. Del pari non si sono trattati i dialetti provenzali e franco-provenzali del Piemonte occidentale.”
Giovan Battista Pellegrini, Il cisalpino e il retoromanzo, in Emanuele Banfi, Giovanni Bonfadini, Patrizia Cordin, Maria Iliescu (a cura di), Italia settentrionale: crocevia di idiomi romanzi. Atti del convegno internazionale di studi di Trento, 21-23 ottobre 1993, De Gruyter, 1995.
(FR) Pierre Bec, Manuel pratique de philologie romane, 1971.
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Hull, Geoffrey, The Linguistic Unity of Northern Italy and Rhaetia: Historical Grammar of the Padanian Language. 2 vol. Sydney: Beta Crucis Editions, 2017.
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