Vito Ievolella | |
---|---|
Nascita | Benevento, 4 dicembre 1929 |
Morte | Palermo, 10 settembre 1981 |
Cause della morte | Agguato da parte di Cosa nostra |
Dati militari | |
Paese servito | Italia |
Forza armata | Esercito italiano |
Arma | Arma dei Carabinieri |
Anni di servizio | 1948 - 1981 |
Grado | Maresciallo Maggiore |
Decorazioni | Medaglia d'oro al valor civile |
voci di militari presenti su Wikipedia | |
Vito Ievolella (Benevento, 4 dicembre 1929 – Palermo, 10 settembre 1981) è stato un carabiniere italiano, vittima della mafia[1].
Dopo l'arruolamento nell'Arma dei Carabinieri (1948), Ievolella fu destinato alla Legione di Alessandria. Nel biennio 1958-1959 frequentò il corso Allievi Sottufficiali della Scuola di Firenze, terminato il quale fu assegnato in forza alla Legione di Palermo. In particolare, prestò servizio presso le stazioni di Palermo Centro e di Palermo Duomo.
Nel 1965 fu trasferito al nucleo investigativo del Comando di Gruppo. Fu impegnato nella Stazione dei Carabinieri "Duomo" e guidò la Stazione "Falde", corrispondente al territorio dell'attuale quartiere di Monte Pellegrino. Fu trasferito alla Caserma "Carini", in Piazza Giuseppe Verdi, dove prestò servizio fino al giorno della sua scomparsa. Nella Caserma “Carini” coordinò le attività del reparto "Delitti contro il patrimonio" del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo.
I risultati ottenuti grazie alle sue tecniche investigative furono ricompensati da 7 encomi solenni e da 27 apprezzamenti del Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri.
Ievolella, sottufficiale dei carabinieri, fu ucciso a Palermo in Piazza Principe di Camporeale il 10 settembre 1981 da sicari mafiosi. Si trovava nella sua auto, una Fiat 128, in cui aspettava insieme alla moglie la figlia Lucia, impegnata in una lezione di scuola-guida. Gli assassini lo affiancarono con un'altra vettura esplodendo numerosi colpi di fucile e pistola.
La causa del suo omicidio è legata ad una sua indagine del 1980 che si concluse con un rapporto denominato "Savoca Giuseppe + 44", che denunciava i componenti della famiglia mafiosa Spadaro della Kalsa per associazione a delinquere, contrabbando di sigarette, traffico di stupefacenti ed omicidio.[2]
Vennero subito arrestati e processati due pregiudicati della Kalsa, Santo Barranca e Giuseppe Di Girolamo, come esecutori materiali del delitto perché vennero notati da un testimone, Pietro La Piana, alla guida dell'auto usata poi dai sicari per compiere l'agguato[3] ma nel 1988 la I sezione della Cassazione presieduta da Corrado Carnevale annullò per ben tre volte la condanna all'ergastolo nei confronti di Barranca, che venne definitivamente assolto da ogni accusa[4][5].
Nel 2001 l'indagine sull'omicidio del maresciallo Ievolella venne riaperta a seguito delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Salvatore Cucuzza, Giuseppe Marchese e Salvatore Cancemi, i quali si autoaccusarono di aver partecipato al delitto insieme a Pino Greco detto "Scarpuzzedda", Filippo Marchese, Giovanni Fici e Mario Prestifilippo, tutti assassinati nel corso della guerra di mafia degli anni '80[5]. Nel 2003 la Corte d'assise di Palermo condannò all'ergastolo come mandante il capomafia della Kalsa Tommaso Spadaro e, tra gli esecutori materiali, Giuseppe Lucchese mentre Pietro La Piana venne condannato a sei anni e mezzo di carcere per calunnia[6]; i collaboratori Cancemi e Cucuzza ebbero invece dieci anni con lo sconto di pena previsto per i collaboratori di giustizia[7].