Ortàlia ed altre periferie invisibili | |
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Autore | Giuliano Ramella |
1ª ed. originale | 2006 |
Genere | saggio |
Ambientazione | la provincia di Biella |
«È possibile ricondurre ad una visione ottimistica o pessimistica una questione complessa come l'essere e l'apparire, dal punto di vista antropologico, economico, culturale e perfino caratteriale, di una realtà come quella biellese? È possibile.»
Ortàlia ed altre periferie invisibili è il titolo di un libro scritto dal giornalista Giuliano Ramella[1] e pubblicato da Aerre editore nel 2006. La pubblicazione è stata curata da Marco Conti, che ha scritto anche un'introduzione e la prefazione; l'epilogo porta la firma di Mauro Vercellotti.
Il saggio si propone di fornire un ampio spaccato di quotidiana realtà, sulla base delle cronache registrate sulla stampa locale, della società civile che anima la provincia di Biella, in Piemonte; una società complessa ma soprattutto compressa tra l'orgoglio di un recente passato industriale che ne ha fatto la capofila nel settore tessile e laniero, e le moderne - ed avanzate - sfide del terzo millennio.
In una sorta di racconto tragicomico di Biella e dei biellesi (come recita l'ultima di copertina), sono qui raccolti gli scritti pubblicati da Ramella dal 1992 al 2006 sul foglio locale La Nuova Provincia di Biella o scritti per un'apposita rubrica radiofonica di Radiobiella. Un florilegio che dispiega - enucleandoli attraverso il tempo, ma seguendo più che un particolare ordine cronologico un ordinato raggruppamento tematico - fatti (e, almeno secondo l'autore, misfatti) di una città comunque sempre capace di interrogare se stessa.
Articolato in sette capitoli, il volume dà conto - con un fragoroso incipit biblico che va sotto il titolo di Ortàlia docet - dei Numeri (dove ad essere messi in gioco sono i numeri che costituiscono un possibile catalogo dei giochi del potere locale).
Seguono i sottocapitoli relativi - sempre biblicamente contestualizzati - di Giudici e Re, con inevitabile conclusione in Esodo.
Il termine Ortàlia del titolo (solo incidentalmente accostabile al quasi omonimo L'ordalia[2]) è - come ben spiegato da Marco Conti nella prefazione - riconducibile ad un possibile posto delle ortiche, eteronomo[3] di una città obliqua nel suo adagiarsi sulle montagne delle Prealpi biellesi ed ubiqua, appunto al pari dell'ortica (un eventuale triplo senso va individuato nell'uso della medesima ortica quale fibra tessile, un materiale in queste terre abbondantemente trattato).
Può essere, in maniera maggiormente aderente alla realtà, ricondotto al valore urticante - ed estraneo ad ogni rischio di politically correct - degli scritti nel volume contenuti e di cui Ramella è autore.
Sulla strada verso una ipotetica e moderna Shangri-La - secondo la definizione data ad inizio anni novanta dal giornale La Stampa in un dettagliato resoconto dalle terre biellesi - le altre periferie invisibili che si incontrano lungo il cammino (il cosiddetto pensiero glocal) sono animate da persone (personaggi?) di gaddiana memoria: dove il pamphlet e la satira avvertono l'indispensabile urgenza di abbandonare il terreno delle ipotesi prossime venture per avvicinarsi a quello dell'accaduto, il deja vu ormai consegnato alla storia.
(Nell'immagine: Archeologia industriale a Chiavazza, periferia di Biella: antico opificio)
I successivi cinque capitoli - che raccolgono come in una sorta di girone dantesco fatti, persone luoghi fra i più disparati (come la Città del Mobile ideata da Giorgio Aiazzone, l'esperimento-pilota primo in Italia di una televisione privata, Telebiella, il santuario di Oropa, luogo di culto mariano fra i più venerati nel nord-ovest italiano) - riguardano la Bottega (i camini fumanti e una virgola rossa), la Piazza, i Crocicchi, il Museo (nota: il Museo del Territorio) e lOpera Pia, l'Edicola.
Il settimo e ultimo capitolo, che anticipa la postfazione di Mauro Vercellotti, sembra lasciare pochi spiragli all'ottimismo, intitolato com'è in maniera disincantata: Non ci resta che piangere.
Ma il libro, nel suo insieme, ad un'appena attenta lettura appare essere essenzialmente un atto d'amore verso una città austera quanto le Alpi che la circondano e prossima al cuore dell'Europa più moderna e laboriosa, attenta ai mutamenti culturali, e soprattutto più consapevole del proprio presente piuttosto che retoricamente e nostalgicamente appagata del proprio passato, sia pure recente.
Città invisibile (ma con una propria precisa quadratura urbanistica: va annotato che è una delle città del nord Italia con il maggior numero di rondò alla francese ed ha un centro urbano con veloce flusso di traffico automobilistico) che sarebbe piaciuta a Jonathan Swift, ma evidentemente (e inevitabilmente) non - alla maniera di Leibniz - il migliore dei mondi possibile, Biella / Ortàlia (che non casualmente fa rima appunto con Italia) appare in definitiva - secondo la chiosa fornita da Mauro Vercellotti - come un perenne luogo in lotta con se stesso, teso non a cancellare ma anzi a far tesoro della propria damnatio memoriae (motto di Bugella Civitas a parte).