Occorre dire che non esiste una definizione univoca e universalmente accettata del termine "Africa centrale". Tuttavia ne esistono diverse interpretazioni che possono avere ciascuna una sua validità in contesti specifici. Queste intepretazioni possono essere ricondotte a due filoni essenziali: quello geografico, in cui prevalgono considerazioni legate alla posizione ed ai confini naturali dell'area, e quello geopolitico, in cui alle considerazioni di cui sopra se ne aggiungo altre di carattere politico, economico e sociale.
In senso geografico stretto l'Africa centrale viene spesso definita come quella porzione del continente africano che va dal sud del Sahara fino al deserto del Kalahari e alla regione dei grandi laghi africani. Questa definizione individua tuttavia un'area estremamente grande (oltre 15 milioni di chilimetri quadrati), composta da oltre trenta stati, con al suo interno aree con caratteristiche assai diverse, e pertanto se ne separano solitamente sub-aree quali quella occidentale, chiamata appunto Africa occidentale, e quella orientale detta Corno d'Africa.
Fra le definizioni di tipo geopolitico, si annoverano la Comunità economica e monetaria dell'Africa centrale (CEMAC), la Comunità economica degli Stati dell'Africa centrale (ECCAS) e la macroregione Africa centrale definita dalle Nazioni Unite. Ques'ultima ha, oltre all'innegabile vantaggio di essere definita da una organizzazione internazionale, anche quello di essere coerente con le altre Macroregioni Onu che mappano il teritorio dell'Africa in modo completo e non ambiguo. Nel resto della voce si farà pertanto riferimento a questa definizioni di "Africa centrale".
In base alla sudetta definizione delle Nazioni Unite, l'Africa Centrale è composta da 9 stati:[1]
La regione ha una superficie totale di circa 6,6 milioni di chilometri quadrati (una volta e mezza l'Unione europea) con una popolazione di quasi 138 milioni di abitanti (poco più di un quarto di quella europea). Lo stato più grande della regione è la Repubblica Democratica del Congo con 2.345.410 km², che è anche lo stato più popoloso con oltre 80 milioni di abitanti.
Quest'area è formata da una zona desertica a nord, il Sahel al centro e la savana a sud.
La zona desertica appartiene all'ecoregione del Deserto del Sahara e copre tutta la parte settentrionale del Ciad, con l'eccezione del vertice nord-ovest dove si trova il massiccio del Tibesti che con il monte Emi Koussi è la montagna pià alta del Ciad e del Sahara. A parte il Tibesti l'area è pianeggiante e digrada verso sud-ovest in direzione del lago Ciad.
A sud della zona desertica si trova l'area del Sahel che comprende gran parte del Ciad meridionale, ed una piccola area del Camerun e della Repubblica Centroafricana settentrionali. All'interno del Sahel si trova la depressione del lago Ciad. Il lago si trova nel Ciad occidentale al confine con la Nigeria, il Camerun e il Niger e rappresenta una risorsa fondamentale per le popolazioni di quei paesi. Purtroppo il pesante sfruttamento delle acque per irrigazione e le siccita degli anni '70 e '80 ne hannoi ridotto sensibilmente la superficie. Il lago è di tipo endoreico ed e' alimentato da diversi immissari di cui il principale e' il Chari ed il suo affluente Logone che nascono nel nord-ovest della Repubblica Centroafricana e scorrono verso nord attraversando il Ciad e segnando il confine col Camerun fino al lago Ciad. Altri immissari minori sono lo Yobe che proviene dal nord della Nigeria, e due fiumi a carattere stagionale lo Yedseram e lo Ngadda, sempre provenienti dalla Nigeria che danno comunque un contributo poco significativo.[2]
La zona a sud dello Sahel fa parte della ecoregione della Savana del Sudan orientale. Questa ecoregione è composta di due blocchi: uno occidentale che si estende dal confine Nigeria-Camerun a ovest, verso est attraverso la parte meridionale del Ciad, la Repubblica Centroafricana settentrionale, fino al Sudan del Sud occidentale; il blocco orientale si sviluppa in direzione nord-sud lungo lungo una striscia a cavallo del confine orientale del Sudan con l'Eritrea e poi nel Sudab del Sud e l'Uganda nord-orientale fino al lago Alberto e quindi marginalmente anche nella Repubblica Democratica del Congo. Si tratta di un territorio pianeggiante che si trova principalmente tra i 200 e i 1000 m di altitudine, anche se questa aumenta leggermente in Etiopia occidentale e intorno al lago Alberto.
Il cuore dell'Africa centrale è il bacino del Congo. Posto a cavallo dell'equatore è il secondo bacino fluviale del mondo, dopo quello del Rio delle Amazzoni, con una superficie di circa 4 milioni di chilometri quadrati.[3] L'area di drenaggio del fiume Congo comprende quasi tutta la Repubblica del Congo, la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centrafricana, lo Zambia occidentale, il nord dell'Angola, e parti del Camerun e della Tanzania. Il bacino si estende per circa 1.900 km da nord (spartiacque Congo - bacino del lago Ciad) a sud (altopiani interni dell'Angola) e circa altrettanti dall'Oceano Atlantico ad ovest, allo spartiacque Nilo-Congo a est. In questo bacino una rete di affluenti a forma di ventaglio scorre verso la depressione centrale lungo pendii concentrici che vanno da una altitudine di circa 500 m. a 275 m. I principali affluenti del Congo sono: sul lato destro l'Ubangi, che scorre nella zona settentrionale del bacino al confine fra la Rep. Democratica del Congo e la Rep. Centroafricana e la Rep. del Congo, e sul lato sinistro il Kasai, il Tshuapa ed il Lomami, che scorrono nella zona centrale del bacino
La parte centrale del bacino, spesso chiamata cuvette, è una enorme depressione contenente depositi alluvionali risalenti al periodo quaternario che poggiano su grossi sedimenti di origine continentale, costituiti principalmente da sabbia e arenaria. Questi sedimenti formano degli affioramenti nella zona sud-orientale della depressione. Il bacino ospita una enorme foresta pluviale, di tipo equatoriale, che prende il nome di foresta del Congo. Tale foresta è composta di diverse ecoregioni: Foreste umide del bacino orientale del Congo e Foreste umide del bacino occidentale del Congo, intorno alle rive del fiume Congo e dei suoi principali affluenti ed in particolare nella zona nord-est del bacino alla confluenza dei fiumi Ubangi e Congo; Foreste umide del bacino centrale del Congo nella parte centrale del bacino, a sud dell'ampio arco formato dal fiume stesso; Foresta della pianura nord orientale del Congo nella parte nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo e nella parte sud-orientale della Repubblica Centrafricana; Foresta della pianura nord occidentale del Congo che si estende su quattro paesi: Camerun, Gabon, Repubblica del Congo, e Repubblica Centrafricana.[4][5][6]
La foresta del Congo è delimitata ad ovest dalla Foresta costiera equatoriale che si estende dal fiume Sanaga nel Camerun centro-occidentale, attraversa la Guinea Equatoriale e le zone costiere e interne del Gabon, la Repubblica del Congo, la provincia angolana di Cabinda, e termina nella Repubblica democratica del Congo, a nord della foce del fiume Congo. A est dalla foresta del Congo si trova la regione delle Foreste montane dell'Albertine Rift. In questa regione si trovano alcuni dei grandi laghi africani: Lago Alberto, Lago Eduardo, Lago Kivu e Lago Tanganica) (da nord a sud), e le montagne più alte dell'Africa centrale: i monti Virunga, il gruppo del Ruwenzori con che con la Cima Marqherita (5.109 m.) e' il monte più alto della regione e i monti Itombwe.[7][8]
I confini settentrionale e meridionale del bacino del Congo sono delimitati da cinture di savana mista a prateria. La regione settentrionale prende il nome di Mosaico foresta-savana del Congo settentrionale. Si tratta di una regione di transizione fra la foresta pluviale e le zone secche della savana settentrionale, che si estende per un lungo territorio che inizia ad est del Camerun Highlands e si estende attraverso la Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo settentrionale, il Sudan del Sud e una piccola parte dell'Uganda di nord-ovest, fino alle montagne dell'Albertine Rift.[9] A sud del Camerun Highlands, ma staccato da questi, si trova il Monte Camerun, un vulcano ancora attivo che si affaccia sul Golfo di Guinea, che con i suoi 4095 m. è la vetta più alta nell'area sub-sahariana occidentale.
Il confine meridionale del Bacino del Congo è formato da due regioni: la regione Mosaico foresta-savana del Congo meridionale nell'area sud e la regione Mosaico foresta-savana del Congo occidentale nell'area sud-ovest. La prima regione occupa una vasta area del Congo meridionale e l'area nord-est dell'Angola, mentre la seconda occupa una vasta area che va dal sud del Gabon, attraversa il sud della Repubblica del Congo e la parte occidentale dell Repubblica Democratica del Congo, arrivando fino all'Angola settentrionale. Anche queste sono delle regioni di transizione fra le foreste tropicali umide di latifoglie a nord e le savane asciutte del sud.[10][11]
L'area immediatamente a sud del bacino del Congo e' costituita da boschi di miombo. Le due ecoregioni sono infatti chiamate Boschi di miombo dell'Angola e Boschi di miombo dello Zambesi centrale. La regione angolana copre un'area prevalentemente formata da colline con altitudini tra i 1.000 e 1.500 metri che si sviluppano ad est della catena costiera nellarea comprresa fra i fiumi Cubango e Zambesi. L'ecoregione dello Zambesi orientale copre una vasta area che si estende a nordest dall'Angola, inclusa la porzione sudorientale della repubblica democratica del Congo (quasi tutta contenuta nella provincia del Katanga), la parte settentrionale della Zambia, una larga parte della Tanzania occidentale, il Burundi meridionale e il Malawi settentrionale e occidentale. Gran parte dell'ecoregione è costituito da pianure o colline coperte da vasti boschi con una altitudine che varia tipicamente tra 800 e 1.200 m.
Nella zona sud-orientale dell'Angola, al confine con la Namibia e lo Zambia, si trova la regione dei Boschi di Baikiaea dello Zambesi. L'area si trova in una vasta pianura ad una altitudione da 800 a 1.000 m ed è drenata dai fiumi Okavango, Cuando e Zambesi superiore e i loro affluenti. L'area prende in nome dalla Baikiaea plurijuga (nota anche come teak africano o teak della Rhodesia), che è la specie arboree dominante che caratterizza l'ecoregione.
^Western Congolian forest-savanna mosaic, su worldwildlife.org, World Wildlife Fund. URL consultato il 5 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2006).
Nel precedente ordinamento amministrativo del Congo (in vigore fino al 2015) esisteva una Provincia di Maniema che aveva lo stesso nome e lo stesso capoluogo di quella attuale, ma una superficie molto più grande che comprendeva l'attuale provincia.
Gemena è una città ed un territorio della Repubblica Democratica del Congo, la città è il capoluogo della Provincia del Sud Ubangi. Secondo il censimento del 1984 aveva 63.052 abitanti, mentre stime del 2004 indicano 113.879 abitanti.[1]
Si trova nel Congo settentrionale, lungo la Strada statale N6 del Congo che collega Libenge presso il confine con la Repubblica Centroafricana, con Dulia nel Basso Uele.[2]
La città è servita dall'aeroporto Gemena (IATA: GMA, ICAO: FZFK).
La Contea di West Pokot è una della 47 contee del Kenya situata nella ex Provincia della Rift Valley. Al censimento del 2019 ha una popolazione di 621,241 abitanti.[1] Il capoluogo della contea è Kapenguria. Altre città importanti sono: Chepareria e Makutano.
Africa centrale è coperta da oltre 268 milioni di ettari di foreste (sia umide che secche) che costituiscono la seconda più grande foresta tropicale dopo quella dell'Amazzonia. Le foreste umide si estendono per un'ampia fetta di territorio che va dal Golfo di Guinea sull'oceano Atlantico ad ovest, fino alla faglia albertina nella regione dei grandi laghi ad est, per una superficie di circa 186 milioni di ettari. Le foreste congolesi coprono il sud-est del Camerun, la Guinea equatoriale, il Gabon orientale, la zona settentrionale e centrale della Repubblica del Congo, la zona settentrionale e centrale della Repubblica democratica del Congo e una parte meridionale e sud-occidentale della Repubblica Centrafricana.[3] Circa i due terzi di questa foresta si trova nella RDC.[4]
Tutte le ecoregioni suddette fanno parte della lista Global 200 contenente le ecoregioni con la piu' elevata caratterizzazione di biodiversità del pianeta.
La foresta del Congo presenta un elevato grado di biodiversità: vi si trovano alcune migliaia di specie animali, di cui oltre 400 specie di mammiferi, 1.000 specie di uccelli e circa 700 specie di pesci. Anche nel mondo vegetale si ha una grande diversificazione con iltre 10.000 specie di piante tropicali e 600 specie di alberi. Molte specie vegetali ed animali sono endemici della regione e vi sono molte fra le specie in via di estinzione o seriamente danneggiate.
Lo stato di conservazione della regione è diverso nelle singole ecoregioni. Vi sono alcune regioni sostanzialmente intatte, altre con un moderato livello di criticità ed alcune decisamente in condizioni critiche.
Le regioni più interne della foresta, dove è anche minore l'insediamento umano, conservano ancora il loro aspetto originario, anche se in prospettiva la costruzione di strade e infrastrutture per lo sfruttamento del legname potranno costituire una minaccia. Rientrano in questa categoria le:
Foreste palustri del bacino occidentale del Congo
Foreste palustri del bacino orientale del Congo
Foreste di pianura del bacino centrale del Congo
Le aree dove è maggiore l'insediamento umano e quindi si sviluppa l'agricoltura ed il commercio di carne e legname e delle relative infrastrutture, sono considerate vulnerabili. E' questo il caso delle foreste costiere del Congo. Un'altra area vulnerabile è quella delle foreste di pianura del bacino nord-occidentale del Congo. Quì l'insediamento umano è scarso ma la maggior parte della regione è stata assegnata a concessioni forestali per il taglio del legname. Questo, oltre al danno diretto dovuto al taglio di grandi alberi, produce un pericolo indiretto derivante dalla caccia degli animali selvatici. E' infatti evidente che la presenza in queste aree di gruppi numerosi di persone nei campi di disboscamento, strade di accesso e mezzi di trasporto, costituiscono un notevole incentivo per il commercio di carne degli animali selvatici.[6] Anche l'area delle foreste di pianura del bacino nord-orientale del Congo è considerata vulnerabile. Una vasta area di foresta di questa regione, conosciuta anche come "foresta dell'Ituri", è stata teatro di una aspra guerra tribale fra le etnie dei Lendu (agricoltori) e degli Hema (pastori) che si è combattuta fra il 1999 ed il 2003, anche se il conflitto e' continuato successivamente, sia pure in tono minore, fino al 2015.[7] La guerra ha impedito pertanto un adeguato controllo del territorio fatto quani oggetto di bracconaggio e di taglio abusivo di legname. Inoltre la gestione di fenomeni migratori dovuti a persone che fuggivano dai territori di guerra, ha comportato l'eliminazione di grandi aree di foresta da utilizzare per l'agricoltura di sussistenza.
Un'area decisamente in pericolo e' quella che si trova all'estremo orientale della foresta del Congo, costituita dalla regione delle foreste montane della faglia albertina. Ques'area, pur essendo una delle più interessanti e ricche di biodiversità di tutta l'Africa, e pur avendo al suo interno delle importanti aree protette quali il Parco nazionale di Virunga, il Parco nazionale dei Monti Rwenzori ed il Parco Nazionale dei Vulcani, e' seriamente compromessa. Le ragioni di questa situazione sono molteplici. In primo luogo occorre notare che in gran parte della regione, e in particolare in Burundi e in Ruanda, la densità di popolazione umana rurale è tra i più alti di tutta l'Africa e questo pone una notevole pressione sia sulle risorse vegetali (raccolta di legna per ardere e disbioscamento per agricoltura) sia su quelle animali (caccia). Inoltre questa regione è stata oggetto di alcune violente e lunghe guerre, quali la seconda guerra del Congo e la guerra del Kivu durante le quali ci sono stati ripetuti episodi di bracconaggio che hanno decimato la popolazione di elefanti africani nel parco di Virunga.
La foresta del Congo è stata abitata da diverse decine di migliaia di anni da popolazioni che hanno tratto dalla foresta tutto quello che occorreva loro per vivere. I più antichi rappresentanti di queste popolazioni sono i Pigmei che possono essere considerati il più grande e diversificato gruppo di cacciatori-raccoglitori attivi che rimane al mondo.[8] Nel bacino del Congo vivono tra i 250.000 ed i 350.000 pigmei suddivisi fra circa 15 differenti gruppi linguistici. I principali gruppi sono:
Baka, nel Camerun meridionale e Gabon settentrionale;
Aka, nella Repubblica Centroafricana e Repubblica del Congo;
Mbuti, nella regione dell'Ituri nella RDC nord-orientale:
Twa, nella regione dei Grandi Laghi e nel bacino centrale del Congo.
^In realtà la zona più orientale della foresta, che riguarda le foreste della Rift Valley, interessa oltre alla RDC altri quattro statai: Burundi, Ruanda, Tanzania e Uganda.
^Bérenger Tchatchou d altri, Op. citata, pag. 9-11
^Il numero fra parentesi quadre [ ] si riferisce alla figura a lato, mentre quello fra parentesi tonde ( ) è il codice WWF attribuito alla regione.
La grotta di Kitum si trova sulle pendici del monte Elgon ad una altitudine di circa 2400 m slm.
L'ingreso della grotta è seminascosto dalla rigogliosa vegetazione che ricopre il monte Elgon e sembra apparire dal nulla fino a quando non ci si trova davanti. Sopra l'entrata si trova una piccola cascata che si rovescia sulla scogliera d'ingresso, ma l'acqua non scorre nella grotta, ma filtra verso il basso sui blocchi crollati di roccia e la vegetazione. Nessuna corso d'acqua emerge dall'ingresso.
La grotta è composta da una camera principale e una anticamera, la camera principale ha uno sviluppo quasi orizzontale per una lunghezza di 165 m. La grotta ha una forma allungata che si va ampliando procedendo verso l'interno. La volta è a forma di cupola e la base è cosparsa di lastre crollate dall'alto. Il crollo più recente è avvenuto nel 1982 e fu piuttosto grande, tanto da uccidere un elefante. Le pareti della grotta sono piùttosto irregolari, costituite da una serie di nicchie e cuspidi create dall'erosione provocata dagli animali. L'ingresso della grotta e la parte iniziale della camra principale sono aperte alla luce e questo riduce l'umidità. Le parti più interne della grotta sono completamente scure e isolate dal punto di vista climatico dalle oscillazioni diurne di temperatura e umidità. La temperatura interna è tra i 12,5 e 13,5 °C.
La grotta ospita una colonia di pipistrelli megachirotteri della specie Rousettus aegyptiacus e le aree di appoggio (agli apici delle cupole crollate) hanno temperature e umidità elevate. I sentieri degli elefanti sono segnalati e ben visibili in alcune parti della grotta.[1]
La prima descrizione della grotta di Kitum risale al XIX secolo, ad opera dell'esploratore scozzere Joseph Thomson che la visitò nel 1883 durante un viaggio esplorativo nelle terre dei Masai. Durante il viaggio di ritorno egli fu informato delle presenza di alcune grotte lungo le pendici del monte Elgon e incuriosito si recò a visitarle. Alcune grotte erano abitate dalla tribù Wa-Elgon e dal loro bestiame che avevano dei piccoli villaggi di capanne nei pressi delle grotte. La sua visita fu tuttavia limitata in quanto i locali non gli forniro alcuna guida, anche a causa di un conflitto in corso con tribù vicine, e pertanto dopo una visita sommaria decise di abbandonare il luogo. Egli tuttavia, valutando le dimensioni delle grotte e la forma delle parteti, ipotizzò che esse furono se non fatte, sicuramente ampliate manualmente, ma escluse le tribù locali che non disponevano dei mezzi necessari. La sua ipotesi fu che erano state sviluppate da una qualche civiltà esterna, magari alla ricerca di minerali preziosi. Tuttavia, escludendo che fossero stati gli Egiziani a spingersi così lontano dalle loro terre, non fu in grado di formulare altre ipotesi. Il racconto di questa esplorazione e' contenuto nel suo libro Through Masai Land: A journey of exploration among the snow-clad mountains and strange tribes of eastern equatorial Africa, pubblicato per la prima volta nel nel 1885.[2]
Una esplorazione più approfondita della grotta fu quella effettuata nel 1982 dal biologo inglese Ian Redmond che rimase cinque mesi nella grotta per studiare il comportamento degli elefanti. Egli produsse la prima mappatura delle grotta e documentò fotograficamente l'esplorazione e le mandrie di elefanti che entravano nella grotta alla ricerca del sale necessario per la loro alimentazione. Egli ducumentò anche il risultato di una grossa frana del tetto della caverna avvenuta nell'agosto 1982.[3]
Una esplorazione molto approfondita fu compiuta nel periodo dal 28 maggio al 4 giugno 2003 da Joyce Lundberg e Donald A. McFarlane che studiarono le cinque principali grotte situate all'interno del Parco Nazionale del monte Elgon: grotta di Kitum, grotta di Mackingeny, grotta di Ngwarisha, grotta di Chepnyalil, e grotta di Kiptoro. Pertanto sono state effettuate rilevazioni in tutte le cique grotte utilizzando il sistema di posizionamento globale (GPS), e strumenti elettronici di precisione, con livello di precisione conforme al BCRA di grado 5. Inoltre per avere un'idea del microclima è stata misurata la temperatura e l'umidità in vari punti delle grotte.[4]
La roccia in cui è scavata la grotta è composta da un agglomerato piroclastico ricco di sodio, formato da una massa di blocchi di lava solidificata di varie dimensioni, espulsi da una eruzione vulcanica, legati insieme da cenere finissima che li amalgama. Questa roccia è stata quindi scavata da vari fattori, come indicato di seguito, dando origine alla grotta. le grotte non sono pertanto dei tunnel di lava, come era stato ipotizzato in precedenza. La roccia contiene un minerale chiamato mirabilite, (detto anche sale di Grauber) composto da solfato di sodio.[5]
La roccia è composta da 4 unità geologiche sovrapposte. Dall'alto verso il basso abbiamo:[5]
agglomerato grigio. Questo livello è costituito da un denso agglomerato di roccia piroclastica di colore grigio-blu. Lo strato superiore di questo agglomerato, dello spessore di circa 2 metri, è costituito da roccia piroclastica densa, dura e impermeabile, che forma la calotta della grotta. Lo strato sottostante, dello spessore di circa 10-15 metri, è ancora roccia piroclastica, ma piu permeabile e meno compatta di quella superiore. I clasti che compongono la roccia sono di dimensioni solitamente inferiori ai 50 cm e costituiti da lava alcania o basalto ipoabissale. La pasta di fondo a grana fine in cui sono incorporati i clasti e' costituita da cenere grigia con cristalli di nefelina e pirossene. Una delle caratteristiche più interessanti dell'agglomerato sono i moltissimi resti fossili che contiene. Questi includono tronchi d'albero (fino a 1 m di diametro), blocchi di radici intatti, cataste di ramoscelli e talvolta ossa di mammiferi.
lava marrone. Questo strato è composto da lava di colore merrone scuro e contiene numerose amigdale riempite di silice. Forma blocchi lisci con frattura concoide ed è composto da nefelina e pirossene. Lo strato ha uno spessore massimo di 30 cm, ma non è continuo, piuttosto è costituito da diversi strati separati fra loro da alcuni centimetri di cenere bianca. Ha una permeabilità molto bassa e quindi agisce come un acquicludo.
agglomerato giallo-grigio. L'agglomerato giallo-grigio è una breccia di tufo, meno indurito e più permeabile rispetto all'agglomerato grigio superiore e abbastanza friabile. Lo strato ha uno spessore variabile dai 2 ai 4 metri. Contiene molti clasti di dimensioni variabili di lava basaltica e produce facilmente sali secondari.
argilla verde. Questo strato è una argilla espansiva contenente smectite. Si è formato dalla sedimentandazione di un flusso di piroclastico che ha incorporato alcuni pezzi di roccia locale. Presenta una trama molto fine e non è indurito. Lo strato ha uno spessore di almeno 2 m. L'argilla è umida, ma può seccare e rompersi durante l'esposizione all'aria della caverna. Questo strato agisce come un acquiclude, più efficace del flusso di lava, perché è più lateralmente continuo. Questa argilla è il livello base locale della grotte e non ci sono aree di passaggio sotto questo.
Nel tempo una parte dell'agglomerato e della lava sono stati sostituiti dalla zeolite (natrolite), e calcite. Poi l'evaporazione da superfici umide, in particolare verso il dorso della grotta, ha provocato l'efflorescenze di sali secondari. Sono stati identificati una decina di sali nelle pareti della grotta, di cui i più comuni sono: calcite, halite, anidrite, polialite, natron e mirabilite.[6]
La speleogenesi della grotta non può essere attribuita ad un solo processo, ma piuttosto ad una combinazione fortuita di una sequenza geologica adeguata e fattori ambientali favorevoli dovuti alla presenza nella zona di una popolazione di elefanti affamati di sale.[7]
Inizialmente la grotta si è sviluppata nella zona retrostante la cascata, al di sotto dell'alveo del ruscello superficiale, che attualmente scorre sopra la grotta, a causa di infiltrazioni di acqua che hanno provocato l'indebolimento dell'agglomerato sopra l'argilla e il cedimento dell'argilla stessa, seguito dal crollo degli strati di agglomerato più duri sopra. La forma di passaggio dominante è la cupola di rottura, con abbondante collasso fresco. Questo prima fase di formazione ha prodotto quindi una apertura in cui uomini e animali hanno potuto accedere.[8]
La seconda fase è stata causata dalla geofagia degli elefanti e di altre specie animali alla ricerca di sali per la loro alimentazione e in parte dall'estrazione umana. Questi processi hanno modificato e allargato significativamente la grotta e rimosso i detriti di collasso della volta. Tali attività, focalizzate su unità accessibili e ricche di sale, hanno creato rientranze quasi orizzontali (fino a circa 4 m di altezza e profondità), i cui vertici si spostavano verso l'alto mentre il collasso sollevava il pavimento. Un'erosione significativa si è verificata anche per dissoluzione, corrosione e attività biogeochimica provocata da grandi colonie di pipistrelli. Non è stata trovata alcuna prova di dissoluzione carsica o di attività freatiche o vadose.[9]
Vista la molteplicità e complessità dei processi coinvolti nella formazione della grotta, è molto difficile datare tale sviluppo. Una ipotesi è che la speleogenesi sia stata iniziata dalla tardiva deglaciazione del pleistocene, e sia stata attiva in tutto l'olocene. Sulla base di stime molto approssimative, considerando che il volume della grotta è di circa 70.800 m3, e l'attività di rimozione prodotta dai soli elefanti, gli studiosi Lundberg e McFarlane, hanno ipotizzato che la grotta si sarebbe formata in circa 12.000 anni. Considerando anche il contributo di altri animali e degli umani, il tempo di formazione si ricuce a circa 10.000 anni. Infine, considerando anche gli altri processi geomorfologici indicati, la caverna si sarebbe formata in circa 8.500 anni.[10]
Nel 1980 un ingegnere francese che viveva in Kenya fu ricoverato all'ospedale di Nairobi in preda a vomito ed emorragie da vari orifici del corpo. Dopo alcuni giorni di inutili tentativi di cura il paziente mori. L'autopsia rivelò che gran parte dei suoi organi erano stati distrutti e ridotti a grumi di sangue. Successive analisi rivelarono che era stato colpito da febbre emorragica causata dal visus di Marburg, un pericolossimo virus della stessa famiglia del virus Ebola. Successivamente si scoprì che l'ingegnere aveva visitato la grotta di Kitum una settimana prima di iniziare ad avere i primi sintomi della malattia che poi lo aveva ucciso.[11]
Nel 1987 venne ricoverato allospedale di Nairobi un ragazzo danese di 15 anni che da tre giorni aveva febbre alta, forte mal di testa e vomito con sangue. Nonostante gli sforzi dei medici il ragazzo morì 11 giorni dopo ed anche lui risultò essere stato infettato dal virus di Marburg. Una ricostruzione successiva dei suoi movimenti evidenziò che circa una settimana prima di manifestare i primi sintomi il ragazzo aveva visitato con la sua famiglia la grotta di Kitum. [11]
Il fatto che due vittime di febbri emorragiche dovute al virus di Marburg[12] avessero entrambe visitato la grotta di Kitum pochi giorni prima del manifestarsi della patologia sembrò a molti ricercatori qualcosa di più di una semplice coincidenza. Pertanto nella primavera del 1988 venne avviata una ricerca congiunta fra il governo del Kenya e l'Istituto di ricerca medica sulle malattie infettive dell'esercito degli Stati Uniti (USAMRIID), guidato dal virologo americano Eugene Johnson. Un campo venne attrezzato presso la grotta e furono esaminati centinaia di uccelli, pipistrelli, insetti e campionato il guano e le feci di animali presenti nella grotta. Puroppo, nonostante il notevole dispiegamento di mezzi e uomini, non emerse nulla. Se il virus di Marburg era stato nella grotta, ora era svanito senza lasciare alcuna traccia.[13] La storia della spedizione di ricerca nella grotta e del primo infettato francese sono raccontate nel libro di Richard Preston del 1994 " The Hot Zone: Area di contagio".[14]
Anche se la spedizione di Johnson si risolse in un fallimento, a distanza di circa 20 anni la sua intuizione di cercare i virus filoviridae nelle profondità della terra si rivelò giusta. Nel luglio del 2007 quattro operai impiegati nella miniera d'oro di Kitaka, nel distretto di Kamwenge nel sud-ovest dell'Uganda, si ammalarono e uno di essi morì dopo aver alcuni giorni di emorragie inarrestabili. Le analisi rivelarono che si trattava del virus di Marburg. Nell'agosto del 2008 un team internazionale composto da scienziati del Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta, e dell'Uganda Virus Research Institute (UVRI). Gli scienziati videro che la miniera ospitava una colonia di circa 100.000 pipistrelli, quasi tutti appartenenti alla specie Rousettus aegyptiacus, detti pipistrelli della frutta), che erano presenti anche nella grotta di Kitum. Decine di esemplari di pipistrelli vennero catturati ed esaminati, ed emerse che essi ospitavano il virus di Marburg.[15]
I Monti Mau sono una catena montuosa del Kenya che formano il margine occidentale della Rift Valley, raggiungendo una altitudine di oltre 3.000 metri. Sono composti da sedimenti vulcanici terziari e ricevono grandi quantità di precipitazioni, hanno temperature moderate e terreni fertili. L'area fa parte di ciò che è considerato una riserva forestale indigena che costituisce il 2,4 percento dell'area forestale totale del paese. [1]
I Monti Mau si trovano nel Kenya sud-occidentale. Essi costituiscono il margine occidentale della Rift Valley. Si estendono in direzione nord-sud per circa 125 km, da Eldama Ravine a Narok, e in direzione est-ovest da Nakuru a Kericho.[2] Le montagne si ergono per oltre 1.000 m dal fondo della Rift Valley, raggiungendo una altezza di 3.098 m slm.[1].
La parte orientale delle montagne forma una forte scarpata (Mau Escarpment)che scende bruscamente sul fondo della Rift Valley; la parte occidentale si estende verso ovest e sud-ovest e scende più dolcemente verso l'altopiano del Lago Vittoria. Le creste hanno pendenze medie tra 17 e 30°.[1]
Il complesso dei monti Mau è il più grande dei cinque bacini idrici (chiamati water towers) del Kenya (le altre sono il Monte Kenya, i Monti Aberdare, Cherangani Hills e il Monte Elgon). Il complesso Mau forma il bacino superiore di quasi tutti i fiumi principali che scorrono sul lato ovest della Rift Valley, tra cui Nzoia, Yala, Nyando, Sondu, Mara, Ewaso Ngiro meridionale, Naishi, Makalia, Nderit, Njoro, Molo e Kerio. Attraverso questi fiumi, il complesso Mau alimenta i principali laghi della Rift Valley, tra cui Vittoria (Nzoia, Yala, Nyando, Sondu e Mara), Turkana (Kerio), Baringo (Molo), Nakuru (Njoro, Nderit, Makalia e Naishi) e Natron (Ewaso Ngiro), di cui tre (Vittoria, Turkana e Natron) sono laghi transfrontalieri.[2]
Le montagne sono composte da formazioni di lava di età terziaria risalenti alla metà del periodo Miocene nel nord; questi sono sovrastati dai recenti strati vulcanici quaternari nella parte meridionale. Sia gli strati vulcanici terziari che quelli quaternari sono principalmente di tipo alcalino, inclusi basalti, fonoliti, trachitici nefeliniche e rioliti alcaline e loro equivalenti piroclastici. Gli strati vulcanici quaternari sono esposti lungo la valle dei fiumi Ewaso Ngiro, Sondu e Mara e hanno uno spessore di circa 300 m mentre quelli terziari hanno uno spessore di circa 1000 m.[1]
La global 200 e' una lista di ecoregioni, redatta dal WWF, considerate prioritarie per la conservazione. Si tratta di 238 ecoregioni dette "Ecoregioni globali" (Global ecoregions) appartenenti ai vari biomi: 142 ecoregioni terrestri, 53 ecoregioni marine e 43 ecoregioni di acqua dolce. In Italia sono presenti 3 delle ecoregioni globali suddette. L'individuazione delle 238 ecoregioni globali è avvenuta tramite l'applicazione di un processo chiamato "conservazione ecoregionale".
Una prima lista di 233 ecoregioni globali venne presentata nel 1998 da David Olson e Eric Dinerstein, due studiosi del WWF.[1] Un aggiornamento di questa lista venne prodotto dagli stessi studiosi nel 2002 con quella che è la versione attuale contenente 238 ecoregioni.[2]
La definizione di queste ecoregioni passa attraverso un processo di stratificazione e selezione operato a partire dalla base di tutte le ecoregioni.
Il primo passo è stato quello di suddividere le ecoregioni in base ad un raggruppamento che possiamo chiamare regno o dominio (realm in inglese). Sono quindi stati indivuati un dominio terrestre, un dominio marino e un dominio delle acque dolci:
Il dominio terrestre e' stato suddiviso in 8 ecozone geografiche e 14 biomi portando alla definizione di 387 ecoregioni terrestri;
Il dominio marino presenta, rispetto agli altri domini, delle unità ecologiche molto più grandi e con dinamiche temporali più ampie, pertanto le ecoregioni delineate da Global 200 sono derivate da una visione più sintetica delle schematizzazioni classiche disponibili.[3] In questa visione vengono quindi utilizzati cinque principali biomi marini: Polare, Piattaforme continentali e mari temperati, Zone di risalita temperate, Zone di risalita tropicali, Zone coralline tropicali. Questa mappatura di base non copre gli ecosistemi di acque profonde (vale a dire, Zone pelagiche, Zone abissali, e Zone adopelagiche (fosse oceaniche)). Anche per la suddivisione geografica è stata utilizzata una schematizzazione leggermente diversa da quella classica impiegando 13 zone denominate: Antartico (Antarctic); Artico (Arctic); Mediterraneo (Mediterranean); Atlantico settentrionale temperato (North Temperate Atlantic); Indo-Pacifico settentrionale temperato (North Temperate Indo-Pacific); Oceano meridionale o Oceano antartico (Southern Ocean); Atlantico meridionale temperato (South Temperate Atlantic); Indo-Pacifico meridionale temperato (South Temperate Indo-Pacific); Indo-Pacifico centrale (Central Indo-Pacific); Indo-Pacifico orientale (Eastern Indo-Pacific); Atlantico tropicale orientale (Eastern Tropical Atlantic); Indo-Pacifico occidentale (Western Indo-Pacific); Atlantico tropicale occidentale (Western Tropical Atlantic).[4]
Il dominio delle acque dolci e' stato suddiviso in 7 tipi di habitat principali: Grandi Fiumi (Large rivers), Alto corso dei grandi bacini fluviali (Large river headwaters), Delta dei grandi Fiumi (Large river deltas), Fiumi minori (Small rivers), Grandi laghi (Large lakes), Laghi minori (Small lakes) e Bacini xerici (Xeric Basins). Per la suddivisione geografica si è invece impegato il solito schema della 8 ecozone.[5]
Una volta definite le ecoregioni di base si è operato un processo di selezione allo scopo di identificare le ecoregioni più significative per ciascun tipo di habitat e nel dominio biogeografico di appartenenza. Allo scopo sono stati definiti i seguenti criteri:[6]
ricchezza di specie e endemismi presenti nella regione (species richness and endemism );
maggiore unicità tassonomica alivello famiglia o genere (higher taxonomic uniqueness);
fenomeni ecologici o evolutivi unici quali ad esempio migrazioni o fenomi di radiazione evolutiva (unique ecological or evolutionary phenomena);
rarità globale degli habitat considerati (global rarity)
integrità di habitat e biota nell'ambito dello stesso bioma (intactness );
rappresentatività ecologica e biologica degli habitat all'interno dell'ecozona (representation).
A questi parametri è stato assegnato un peso e sono statai misurati per ciascuna ecoregione, al fine di determinare un indicatore chiamato Biological Distinctiveness Index (BDI).[7]
Un ulteriore parametro preso in considerazione ai fini della selezione delle ecoregioni è lo stato di conservazione. Per la sua valutazione sono stati utilizzati i seguenti criteri: [8]
perdita di habitat;
dimensione delle zone di habitat esistenti;
grado frammentazione dell'habitat;
aree protette esistenti;
pericoli futuri.
Anche a questi parametri sono stati asegnati dei pesi (diversi fra ecoregioni terrestri, marine e di acqua doilce) e attributi quindi dei valori al fine di misurare un indice chiamato Conservation Status Index (CSI). Per quanto riguarda la selezione delle Global 200, le ecoregioni sono state classificate in termini di stato di conservazione considendo una prospettiva dei prossimi 40 anni. Al termine e' stato assegnato all'ecoregione un indice che ricade in una delle seguenti tre grandi categorie: critica/in via di estinzione (CE), vulnerabile (V), relativamente stabile/relativamente intatta (RS).[9]
L'applicazione del processo descritto in precedenza ha condotto alla identificazione di 238 ecoregioni globali la cui biodiversità e livello di rappresentatività sono eccezionali o significativa su scala globale. Si tratta di 142 (60%) ecoregioni terrestri, 53 (22%) ecoregioni d'acqua dolce, e 43 (18%) ecoregioni marine.
Le ecoregioni terrestri sono più numerose di quelle gli altri regni in gran parte perché in esse vi sono maggiori endemismi in terrestre che nel biota marino e di acque dolci, ma in parte anche per una minore disponibilità di informazioni sulla biodiversità delle regioni marine e di acqua dolce.
L'Italia è interessata da 3 delle ecoregioni globali della lista Global 200, le prime due sono terrestri, la terza marina:
Ecoregione n. 77 - Foreste miste montane dell'Europa mediterranea (European-Mediterranean Montane Mixed Forests). Si tratta di una regione molto vasta che comprende le aree forestali montane di Pirenei, Alpi, Carpazi, Balcan, Monti Rodopi, nonchè le aree montane più elevate degli Appennini centrali e dell’Atlante, ed una parte dei monti della Crimea e del Caucaso. Queste aree sono caratterizzate da formazioni di conifere e di foreste miste e di latifoglie. E' composta da 8 ecoregioni terrestri:
Ecoregione n. 123 - Formazioni forestali mediterranee (Mediterranean Forests, Woodlands, and Scrub). Anche questa è una regione molto vasta che include le aree forestali del Bacino Mediterraneo, della Penisola Iberica, dell'Italia, del Maghreb e della Turchia. Comprende tutte le ecoregioni terrestri del bioma Foreste, boschi e macchie mediterranee della zona Paleartica.
PA1201 - Freste sclerofille e miste dell'Egeo e della Turchia occidentale
PA1222 - Foreste scerofille e miste tirreno-adriatiche
Ecoregione n. 199 - Mar Mediterraneo ( Mediterranean Sea). Comprende le aree marine del Bacino Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra, allo stretto del Bosforo. E' una regione ricca di endemismi ed è biologicamente distinto dall'Oceano Atlantico adiacente. Fra gli endemismi è particolarmente importante la posidonia oceanica le cui praterie costituiscono l'habitat naturale per numerose specie marine, in particolare pesci, crostacei e tartarughe marine. Vi sono anche alcune spoedie in via di estinzione fra cui la foca monaca mediterranea (Monachus monachus). Comprende 7 ecoregioni marine:
Questa e' una lista delle 238 ecoregioni definite dal WWF come prioritarie per la conservazione.[1] La lista, detta per brevità Global 200, raggruppa le ecoregioni in base ad dominio di appartenenza: terrestre, di acque dolci, marino. Nell'ambito di ciascun dominio le ecoregioni sono ulteriormente raggruppate in base al bioma (o provincia marina) di competenza.
2 Foreste costiere del Congo - Angola, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale, Gabon, Nigeria, Repubblica del Congo, Sao Tomé e Principe.
49 Foreste delle isole del Pacifico meridionale - Samoa Americane (Stati Uniti), Isole Cook (Nuova Zelanda), isole Fiji, Polinesia Francese (Francia), Isola di Niue (Nuova Zelanda), Isola di Samoa, isola di Tonga, isole di Wallis e Futura (Francia).
50 Foreste umide delle Hawaii - Hawaii (Stati Uniti).
88 Steppe alberate del Miombo centrale e orientale - Angola, Botswana, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Malawi, Mozambico, Namibia, Tanzania, Zambia, Zimbabwe.
89 Savane sudanesi - Camerun, Repubblica Centrale Africana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Kenya, Nigeria, Sudan, Uganda.
150 Fiumi e ruscelli pedemontani del bacino del fiume Congo - Angola, Camerun, Repubblica Centrale Africana, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Repubblica del Congo, Sudan.
152 Fiumi e ruscelli dell’alto corso del Rio delle Amazzoni - Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guiana Francese (Francia), Guyana, Perù, Suriname, Venezuela.
153 Fiumi e ruscelli dell’alto corso del fiume Paranà - Argentina, Brasile, Paraguay.
154 Fiumi e ruscelli amazzonici dello scudo brasiliano - Bolivia, Brasile, Paraguay.
161 Fiumi e ruscelli della Guinea Settentrionale - Costa d’Avorio, Guinea, Liberia, Sierra Leone.
162 Acque dolci del Madagascar - Madagascar.
163 Fiumi e ruscelli del golfo di Guinea - Angola, Camerun, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale, Gabon, Nigeria, Repubblica del Congo.
164 Fiumi e ruscelli della Terra del Capo - Sud Africa.
199 Mar Mediterraneo - Albania, Algeria, Bosnia e Herzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia, Gibilterra (Regno Unito), Grecia, Israele, Italia, Libano, Libia, Malta, Marocco, Monaco, Slovenia, Spagna, Siria, Tunisia, Turchia, Serbia.
Atlantico settentrionale temperato
200 Piattaforma continentale dell’Atlanticonordorientale - Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Olanda, Norvegia, Polonia, Russia, Svezia, Regno Unito.
201 Grandi Banchi - Canada, St. Pierre e Miquelon (Francia), Stati Uniti.
202 Baia di Chesapeake - Stati Uniti.
Indo-Pacifico settentrionale temperato
203 Mar Giallo - Cina, Corea del Nord, Corea del Sud.
204 Mar di Okhotsk - Giappone, Russia.
Oceano meridionale
205 Atlantico sudoccidentale della Patagonia - Argentina, Brasile, Cile, Uruguay.
206 Zone marine dell'Australia meridionale - Australia.
207 Zone marine della Nuova Zelanda - Nuova Zelanda.
Zone di risalita temperate
Indo-Pacifico settentrionale temperato
208 Corrente della California - Canada, Messico, Stati Uniti.
Atlantico meridionale temperato
209 Corrente del Bengala - Namibia, Sud Africa.
Indo-Pacifico meridionale temperato
210 Corrente di Agulhas - Mozambico, Sud Africa.
211 Corrente di Humboldt - Cile, Ecuador, Perù.
Zone di risalita tropicali
Indo-Pacifico centrale
212 Zone marine dell’Australia occidentale - Australia.
236 Zone marine delle Grandi Antille - Bahamas, isole Cayman (Regno Unito), Cuba, Repubblica Dominicana, Haiti, Giamaica, Porto Rico (Stati Uniti), isole Turks e Caicos (Regno Unito), Stati Uniti.
237 Mar dei Caraibi meridionale - Aruba (Olanda), Colombia, Grenada, Antille Olandesi (Olanda), Panama, Trinidad e Tobago, Venezuela.
238 Zone marine della piattaforma brasiliana nordorientale - Brasile