Unabomber è un bombarolo seriale non identificato, autore di numerosi attentati dinamitardi commessi nelle regioni italiane del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia negli anni 1990 e 2000. La sua strategia, priva di un chiaro movente, consisteva nel collocare ordigni esplosivi improvvisati in luoghi aperti al pubblico, che hanno procurato lesioni e menomazioni a chi ne è stato vittima. Il nome Unabomber è stato utilizzato dalla stampa italiana in analogia con il caso dello statunitense Theodore Kaczynski.[1]

Le azioni attribuitegli sono, secondo le ricostruzioni[2], 31 o 33, distribuite su un arco temporale che va dal 1994 al 2006, con un periodo di quiescenza tra il 1996 e il 2000. L'autore (o gli autori) delle azioni è ignoto, non ha rivendicato i suoi atti, non ha lasciato tracce tali da portare alla sua identificazione e ha seminato il panico in una vasta zona dell'Italia nordorientale, incentrata sull'asse Pordenone-Portogruaro-Lignano Sabbiadoro.

Il suo caso è una delle vicende di cronaca nera che più hanno impressionato l'opinione pubblica italiana a cavallo fra gli anni 1990 e gli anni 2000, per l'inestricabilità, l'apparente irrazionalità e il terrore instillato nella popolazione dagli attentati, capaci di ferire obiettivi casuali e indifesi. L'autore, inoltre, ha colpito spesso in occasioni festose e più di una volta ha scelto come bersaglio bambini.

Il personaggio

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Origine del nome

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L'attentatore statunitense Theodore Kaczynski, a cui fu attribuito per primo l'appellativo Unabomber.

Il primo soggetto etichettato con il soprannome Unabomber era stato il terrorista statunitense Theodore Kaczynski, autore di vari attentati con esplosivi nel corso di diciotto anni. Prima della sua cattura, Kaczynski era chiamato dall'FBI con la sigla UNABOM (UNiversity and Airline BOMber), dicitura poi alterata dai media italiani. Le analogie tra l'Unabomber italiano e quello statunitense sono tuttavia tenui.

Nel 2005 il direttore del Gazzettino Luigi Bacialli decise di adoperare il nome di Monabomber, mutuandolo dall'espressione volgare in lingua veneta mona, usata per indicare una persona sciocca. La scelta intendeva screditare l'attentatore ed evitarne la gratificazione: in questo senso fu condivisa da firme autorevoli[3][4] ma rigettata da altre, che la ritennero una violazione della deontologia giornalistica.[5] L'appellativo incontrò inoltre la contrarietà dei giornalisti stessi del Gazzettino, che si rifiutarono di riprodurlo nel corpo degli articoli,[6] del sindacato dei giornalisti del Veneto e della Federazione Nazionale Stampa Italiana.[7] Nel luglio 2006 Bacialli fu sostituito da Roberto Papetti e la testata ricominciò a chiamare Unabomber col nome comune.

Le attività

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Unabomber colpiva con regolarità, ma non è ritenuto un serial killer, poiché probabilmente le sue azioni erano dirette non a uccidere ma a ferire, anche se a volte hanno sfiorato l'esito mortale; potrebbe non essere considerato neppure propriamente un terrorista, avendo agito per un movente oscuro e non rivendicando i gesti criminali e il loro significato. Gli inquirenti ritengono tuttavia possibile contestargli l'aggravante della finalità di terrorismo,[8] che però non è stata inserita in un'imputazione formale o in una sentenza. Ad alcune vittime di Unabomber lo Stato ha riconosciuto un risarcimento, come in genere avviene per le vittime del terrorismo. La prima donna gravemente ferita, Anna Pignat, è però deceduta nel 2008 senza averlo ricevuto. L'hanno ottenuto invece Anita Buosi (90.466 euro), Ludovica Gianni (38.418) e le due bambine di nove e sei anni ferite nel 2003 e nel 2005 (rispettivamente 190.455 e 53.786).[9][10]

Unabomber è ricercato per una serie di reati inerenti le lesioni personali di varia gravità e per tentato omicidio.

L'ultimo attentato compiuto da Unabomber risale al 6 maggio 2006 e la lunga inattività si presta a svariate interpretazioni. Tra le possibili spiegazioni vi sono quelle secondo cui l'attentatore potrebbe essere morto, oppure potrebbe essere stato arrestato e incarcerato per un altro reato e non identificato, aver perso l'interesse a colpire o essere semplicemente in pausa.[11] C'è però chi formula ipotesi più complesse, sostenendo che possa trovarsi in psicoterapia o anche in terapia farmacologica.[12] Alcuni inquirenti, come Domenico Labozzetta, dichiarano un sostanziale agnosticismo sul fatto che le indagini si siano mai realmente avvicinate al responsabile degli attentati. Gli investigatori ritengono comunque aperto il caso Unabomber, sostenendo la necessità di riprenderlo periodicamente in esame.[8]

Il profilo criminologico

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Un elemento che distingue Unabomber è stata l'impossibilità per gli inquirenti di delineare un preciso schema operativo dei suoi attacchi. Si possono solo notare alcune peculiarità, come il fatto che le località più colpite siano state Pordenone e Portogruaro. Si può inoltre ipotizzare che mirasse ai piccoli centri più che alle città, per terrorizzare più efficacemente la popolazione. Tra i caratteri comuni degli attentati, spicca la tendenza ad attuarli nei giorni di festa o durante la stagione estiva, in luoghi affollati e particolarmente importanti nel periodo dell'anno in corso (le chiese nelle festività religiose, le spiagge durante l'estate, le piazze nel periodo di Carnevale). Il fatto che non abbia colpito tra il 1997 e il 1999 ha indotto alcuni a ipotizzare un impedimento (detenzione, servizio o missione militare...). In aggiunta sembrava conoscere bene il territorio, quindi potrebbe essere legato al Friuli occidentale, o alla stessa città di Pordenone.

I tentativi di profilazione hanno restituito il ritratto di una persona di età tra i 35 e 50 anni, visto il prolungato tempo di attività e le conoscenze dimostrate nel realizzare gli attentati. Il modo in cui venivano preparati i suoi ordigni esplosivi rivelava non solo grande manualità e perizia nella chimica, ma anche cura maniacale dei dettagli. Considerando il tempo necessario alla preparazione di dispositivi del genere, è probabile che vivesse da solo o con qualcuno non in grado di intralciarlo, come un genitore anziano o un figlio piccolo, oppure che avesse a disposizione un luogo isolato. Non si esclude che abbia osservato da lontano alcune delle esplosioni: una vittima ha affermato di aver visto un uomo che le sorrise da lontano prima che lei raccogliesse un evidenziatore, rivelatosi uno degli oggetti esplosivi incriminati. Nel suo modus operandi, tuttavia, non è emersa alcuna tendenza all'esibizionismo o l'intenzione di lasciare una firma.

Molte le ipotesi sui moventi, basate sul fatto che gran parte delle vittime sono state colpite in occasione di festività cristiane o in luoghi di aggregazione collettiva. Le vittime preferite non appartengono a categorie sociali ricorrenti, contro le quali vi potrebbe essere un accanimento causato dal disprezzo, ma sono persone comuni o bambini. Secondo alcuni psicologi potrebbe soffrire di un trauma o di una menomazione, che lo spingerebbero a colpire senza mirare ad alcun obiettivo specifico.[13]

Le indagini

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Complessità

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Fin dall'inizio le indagini sul caso Unabomber furono penalizzate dall'impossibilità di individuare un movente. Questo dato, pur avendo minore importanza sotto il profilo processuale, è fondamentale in fase investigativa, dal momento che permette di limitare le ricerche a un numero circoscritto di persone sospettabili.[8]

Anche la sospensione degli attentati si rivelò un problema, poiché se da un lato essi erano l'unica fonte di indizi, dall'altro gli inquirenti stessi si persuasero che gli episodi fossero terminati e l'inchiesta entrò in una fase di quiescenza. L'inchiesta fu ulteriormente danneggiata da una serie di errori degli stessi inquirenti e delle forze dell'ordine, oltre che da fughe di notizie.[8]

Anche la partecipazione di associazioni e cittadini, in particolare attraverso l'istituzione di taglie, non giovò: quando Unabomber colpì a Fagarè, nel più drammatico dei suoi attentati, alcuni supposero si fosse attivato per vendetta contro la taglia di 50.000 euro posta sul suo capo, attraverso il quotidiano Libero, dall'imprenditore Giorgio Panto, la cui fabbrica si trovava nelle vicinanze.[14] Le varie taglie sarebbero state rese inutili anche dall'inesistenza di un fenomeno di omertà intorno al caso.[8]

Oltre a ciò, la vicenda fu complicata dalla dispersione geografica degli episodi, che finirono per coinvolgere quattro procure: il fatto di Sacile (21 agosto 1994) attivò la procura di Pordenone, quello di Aquileia (11 dicembre 1995) coinvolse la procura di Udine, quello di Bibione (26 dicembre 1995) chiamò in causa la procura di Venezia e infine quello di Motta di Livenza (2 novembre 2001) riguardò la procura di Treviso. Un altro problema fu rappresentato dal ricambio dei magistrati, troppo frequente rispetto alla lunga durata delle indagini sul caso. Per ovviare a questi inconvenienti, anche sulla spinta dell'indignazione generale seguita al caso di Fagarè (25 aprile 2003), fu istituita una superprocura con il compito di coordinare le indagini. Lo speciale ufficio però finì per naufragare, inaspettatamente travolto dall'esito imbarazzante del caso Zornitta.[8]

Indizi

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I principali indizi in mano alle autorità inquirenti sul caso Unabomber sono:

Molti degli ordigni confezionati da Unabomber erano tubi bomba (pipe bomb) dalla struttura molto semplice. Si trattava di segmenti di tubi da idraulico con due tappi alle estremità, riempiti di miscele di composti azotati ricavati a partire da materiali di facile reperibilità: dai comuni fuochi artificiali, alle munizioni da caccia, ai diserbanti e ai fertilizzanti. Dall'ottobre 2000 i congegni esplosivi divennero però molto più elaborati, dimostrando la notevole perizia tecnica dell'attentatore, che si spinse fino all'uso di un composto molto difficile da maneggiare come la nitroglicerina.[8] Questa svolta ha fatto prendere in considerazione anche la possibile esistenza di più soggetti, che avrebbero preso spunto dal primo attentatore.[16]

Indizi minori sono rappresentati da varie testimonianze oculari che portarono anche alla formazione di alcuni identikit. Alcune di esse vennero raccolte in occasione dell'attentato al tribunale di Pordenone (24 marzo 2003), occasione nella quale furono esaminati anche i video del sistema di sicurezza. Questi, però, restituirono immagini confuse, nelle quali parve solo possibile intravedere un uomo che indossava un abbigliamento mimetico con un paio di baffi all'apparenza posticci.[17][18]

Movente a parte, è facile riconoscere gli obiettivi di Unabomber dagli effetti delle esplosioni, dalle caratteristiche delle vittime, dai tempi e dai luoghi degli attentati. Gli ordigni esplodono tipicamente in direzione della persona, spesso provocando lesioni permanenti alle mani (tipicamente la perdita delle prime tre dita) e agli occhi. Le vittime sono individui comuni, selezionati dal caso, a volte bambini. Come già detto, tempi e luoghi dimostrano una marcata preferenza per i periodi di festa o di vacanza e non escludono bersagli legati al mondo della religione.[8]

Su queste basi è stato stilato il profilo dell'attentatore, sfruttando a tal fine anche l'esperienza degli esperti nella caccia agli assassini seriali. Nel corso del tempo si è supposto trattarsi di un soggetto di sesso maschile, di età compresa fra i 30 e i 50 anni, appassionato di esplosivi e forse con manie di protagonismo.[8] Si è ritenuto che vivesse solo o con qualcuno non in grado di intralciarlo nelle sue attività (ad esempio un genitore anziano o un figlio piccolo), che collezionasse gli articoli delle testate informative sui propri atti criminali e che possa aver commesso altri reati oltre a quelli per cui è diventato noto.[19] Ne furono tracciati anche profili psicopatologici.[20] Non tutti hanno però escluso la possibilità che si trattasse invece di una donna.[16]

Piste seguite

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Inizialmente, in occasione dell'attentato di Sacile del 21 agosto 1994, fu accreditata la pista dell'ecoterrorismo, ma l'assenza di rivendicazioni disorientò gli inquirenti, che ipotizzarono, allora, il coinvolgimento di ambienti naziskin.[21][22] Col verificarsi di nuovi episodi, prese corpo la tesi dell'attentatore isolato. All'epoca del primo attentato di Lignano, il 4 agosto 1996, tuttavia, l'insegnante Andrea Agostinis fu indagato nel contesto di un'ipotesi di terrorismo.[8]

L'interruzione degli attentati suggerì che Unabomber fosse un militare statunitense di stanza alla base aerea di Aviano ed avesse momentaneamente sospeso l'attività criminosa perché impegnato nella guerra del Kosovo (che si svolse proprio tra il 1996 ed il 1999, lo stesso periodo in cui Unabomber non compì attentati), oppure un militare italiano pratico di esplosivi. D'altro canto, l'abilità dimostrata dall'attentatore nell'eludere le mosse degli inquirenti fece sorgere anche il sospetto che si trattasse di un appartenente alle forze dell'ordine. Nessuna di queste piste incontrò conferme.[8] Gli inquirenti si concentrarono sulla tesi dell'attentatore isolato e su una lista di persone sospette, lista però troppo estesa, per l'assenza di un movente.[8] Emersero anche ipotesi diverse, come l'esistenza di complici o di emulatori.[23] Nemmeno queste ipotesi trovarono riscontri concreti.

Nel novembre 2022 la procura di Trieste ha riaperto il caso, dopo formale richiesta di due delle vittime del bombarolo. Il 19 gennaio 2023 undici persone sono state indagate dalla procura. Dieci di queste avevano già fatto parte dell'inchiesta, poi archiviata. Il 13 marzo 2023 in procura a Trieste si è tenuta l'udienza in cui è stato dato incarico a un'antropologa molecolare e al comandante dei Ris dei Carabinieri di effettuare analisi genetiche e di laboratorio su alcuni reperti piliferi ritrovati all'epoca dei fatti sui resti di alcuni ordigni, con la speranza di risalire all'attentatore attraverso la banca dati nazionale. Dopo l'udienza del 9 ottobre 2023, i periti incaricati hanno chiesto più tempo per l'analisi dei reperti, posticipando la prossima udienza al 18 marzo 2024.[24]

Persone indagate

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Numerosissimi sono stati i sospettati nel caso Unabomber. Nel 2000 gli inquirenti stavano vagliando un migliaio di nomi, i quali furono selezionati per esclusione con l'ausilio di un software dell'FBI che permise di incrociare le tracce telematiche e gli altri dati a disposizione.[25] La cerchia si restrinse sempre più, fino a limitarsi a una dozzina di individui.[26] Di tanto in tanto emerse il nome di una specifica persona.

Andrea Agostinis

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Il 5 agosto 1996, all'indomani dell'episodio di Lignano, pervenne all'ANSA una telefonata che attribuiva il gesto all'Organizzazione 17 novembre, un gruppo terroristico greco che nello stesso periodo aveva rivendicato due attentati negli Stati Uniti. In Italia, all'apparenza, esisteva un'unica persona informata su tale organizzazione: Andrea Agostinis, un insegnante di disegno tecnico di Tolmezzo. Il professore era anche giornalista e proprio nei giorni precedenti ai fatti di Lignano aveva pubblicato sul Quotidiano del Friuli una dettagliata inchiesta sull'Organizzazione 17 novembre. Agostinis aveva inoltre dato notizia alla radio della rivendicazione all'ANSA prima di chiunque altro.[8]

Gli inquirenti lo ritennero autore della telefonata e disposero la perquisizione della sua casa di Lignano e dell'istituto scolastico di Udine dove lavorava.[27] Agostinis fu destinatario di un'informazione di garanzia ed entrò così nell'inchiesta, ma l'insufficienza del quadro indiziario fu presto evidente e il caso fu archiviato nel 1999. Anche le altre rivendicazioni del Gruppo 17 novembre furono riconosciute come false.[8] Nel frattempo gli attentati di Unabomber si erano interrotti.

Elvo Zornitta

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Il 26 maggio 2004 venne ufficialmente posto sotto indagine l'ingegnere Elvo Zornitta, con le forze dell'ordine che perquisirono la sua abitazione. Il suo nome era stato suggerito da un'altra delle persone indagate. Gli elementi contro Zornitta parvero di numero enorme (17) rispetto a quelli a carico degli altri sospetti. I principali indizi erano rappresentati dalle elevate competenze tecniche relative al mondo degli esplosivi (che Zornitta stesso ammise), dall'area dei suoi spostamenti lavorativi, corrispondente a quella degli attentati, e dal rinvenimento di oggetti compatibili con quelli usati dall'attentatore, compresi alcuni petardi privi della polvere pirica. Si sospettò anche che Zornitta avesse una lieve menomazione, una caratteristica spesso presa in considerazione nel profilo ipotetico di Unabomber, sospetto per altro mai verificato.[8] Per lo stesso motivo, in un primo momento, fu sospettato anche il fratello minore Giuseppe.[26]

Questo complesso indiziario non fu però sufficiente: il sospettato fu strettamente sorvegliato, anche in casa, per due anni, durante i quali Unabomber colpì regolarmente, e in occasione di ogni attentato risultò sempre avere degli alibi solidi, confermati dagli inquirenti. Vittorio Borraccetti, all'epoca dei fatti procuratore capo della procura di Venezia, confermò nel 2011[28] che per almeno due degli attentati compiuti da Unabomber c'era l'assoluta certezza del non coinvolgimento di Zornitta. Nonostante ciò le indagini continuarono in quella direzione.[8] Si ipotizzò la presenza di un'altra persona dedita a collocare gli ordigni per suo conto; sospetti caddero anche sulla moglie, oltre che sul fratello per il periodo anteriore al manifestarsi di una grave malattia.[26] Per questi motivi furono sottoposti all'esame del DNA, oltre a Zornitta, anche i suoi parenti e amici, conoscenti e colleghi, al fine di incrociare i risultati con i dati a disposizione degli inquirenti.[23] I test diedero tutti esito negativo.

Il 10 ottobre 2006 parve che gli inquirenti avessero trovato una prova schiacciante contro Zornitta: la compatibilità tra le lame di un paio di forbici sequestrate all'ingegnere ed i tagli sul lamierino dell'ordigno rinvenuto nella chiesa di Sant'Agnese a Portogruaro.[23] Sulle forbici fu svolto un incidente probatorio che, tramite il metodo dei toolmarks, sembrò confermare in pieno la diagnosi. La scoperta convinse, al momento, i magistrati e i media.[8]

Il 16 gennaio 2007 l'avvocato Maurizio Paniz, davanti al GIP Enzo Truncellitto, ribaltò il risultato della perizia, ipotizzando che una piccola striscia del lamierino fosse stata tagliata con le stesse forbici dopo il sequestro. In seguito nuove analisi confermarono questa supposizione ed a finire sotto inchiesta fu l'agente di polizia Ezio Zernar, che risultò aver truccato la prova allo scopo di incastrare Zornitta[29]. Tale evento assestò un duro colpo alle indagini nei confronti di Zornitta, il cui fascicolo fu archiviato il 2 marzo 2009 su richiesta della procura.[8][30] Zernar fu condannato in primo grado e in appello a due anni di reclusione per falso ideologico e frode processuale.[31] Nel marzo 2012 la Cassazione annullò la sentenza d'appello, ordinando la ripetizione del processo.[32] Nel novembre 2014 la Cassazione ha confermato la condanna.[33]

Nel 2010 alcuni giornali ipotizzarono una riapertura del caso Zornitta in seguito alla pubblicazione di un video nel quale si vedeva l'ingegnere intento a strofinare un paio di forbici con un oggetto. Il gesto fu interpretato come una limatura e le forbici, a detta degli inquirenti, sarebbero state identificate con un paio che sarebbe stato sottratto ai carabinieri nel corso di una perquisizione, successiva a tutti gli attentati: l'azione, compiuta dopo aver appreso la notizia della compatibilità tra le forbici e il lamierino, parve insomma un'ammissione di responsabilità. Secondo l'avvocato Paniz, tuttavia, il video, girato durante il periodo di sorveglianza dell'uomo, era già agli atti con il resto del materiale esaminato, l'atto era stato eseguito mesi dopo il sequestro delle ormai famose forbici e nessuna prova della sottrazione di queste forbici a tale sequestro era mai stata dimostrata: poteva quindi consistere in una semplice manutenzione dei pochi oggetti ancora in mano all'ingegnere.[34]

A seguto dell'archiviazione, Elvo Zornitta si trova processualmente nella stessa situazione di qualsiasi altro cittadino: nei suoi confronti un processo per i reati di Unabomber non è precluso, ma al contempo non c'è alcuna ragione di eseguirlo, in quanto tecnicamente la sua innocenza non è mai stata messa in dubbio dalla formalizzazione di un'accusa. Zornitta ha lamentato seri danni personali e patrimoniali, tra cui la perdita del lavoro, a causa delle indagini a suo carico e delle continue dichiarazioni fatte dagli organi inquirenti e dalla stampa a suo carico, e si è costituito parte civile nel processo contro Zernar, chiedendo un ingente risarcimento.[9] Nell'ottobre 2022 Zornitta ha ricevuto un risarcimento dallo Stato pari a 300000 €.[35]

Altri sospettati

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Tra le altre persone sospettate di essere Unabomber nel corso degli anni, hanno avuto l'attenzione della stampa:

Cronologia degli attentati

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1993

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1994

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1995

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1996

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La spiaggia di Lignano Sabbiadoro in estate.

1998

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2000

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2001

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2002

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La parrocchiale di Cordenons colpita il giorno di Natale 2002.

2003

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2004

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2005

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2006

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2007

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Casi simili

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Giovanni Vantaggiato, un imprenditore pugliese, nel 2012 collocò una bomba nei pressi della scuola superiore Morvillo-Falcone di Brindisi, uccidendo una studentessa e ferendone altre; precedentemente aveva commesso un attentato dinamitardo ai danni di un rivale sul lavoro. Per tali azioni, Vantaggiato è stato soprannominato "Unabomber del Salento".[91]

Nei media

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Note

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  1. ^ la-vera-e-incredibile-storia-di-unabomber, su linkiesta.it.
  2. ^ Unabomber, su italiacriminale.it (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  3. ^ Sandro Veronesi, L'arma del ridicolo per battere il terrorista, in Corriere della Sera, 16 marzo 2005. URL consultato il 17 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2014).
  4. ^ Michele Serra. «L'amaca».. La Repubblica, 16 marzo 2005, p. 18.
  5. ^ Sebastiano Vassalli, Sua Eccellenza il bombarolo, in Corriere della Sera, 2 aprile 2005, p. 39 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2014).
  6. ^ Comitato di redazione del Gazzettino di Venezia. «Interventi e repliche».. Corriere della Sera, 17 marzo 2005, p. 43.
  7. ^ «Ribattezziamolo Monabomber».. La Repubblica, 15 marzo 2005, p. 4.
  8. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad ae af ag Giovanni Minoli e altri. «Follia esplosiva» (archiviato dall'url originale il 16 ottobre 2014).. La Storia siamo noi, 25 marzo 2009.
  9. ^ a b «Tempi lunghi per il risarcimento».. La Nuova di Venezia e Mestre, 28 ottobre 2010.
  10. ^ «Fu uno dei primi bersagli di Unabomber: scompare la donna colpita 13 anni fa».. La Repubblica, 13 aprile 2008, p. 21.
  11. ^ Massimiliano Melilli. «Unabomber, il silenzio più lungo: È morto. No, in sonno».. Corriere del Veneto, 24 novembre 2010.
  12. ^ Ivan Vadori. «Dietro la maschera di Unabomber» (archiviato dall'url originale il 31 gennaio 2011). (intervista allo scrittore Francesco Altan). Affaritaliani.it, 26 gennaio 2011.
  13. ^ Vicenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca, I serial killer, Ariccia, Newton Compton Editori, 2013, pp. 807-809, ISBN 978-88-541-6121-4.
  14. ^ «Forse ha colpito per vendicarsi della taglia messa su di lui».. Corriere della Sera, 27 aprile 2003, p. 1.
  15. ^ Fiorenza Sarzanini. «Unabomber, mezza impronta lo può tradire».. Corriere della Sera, 6 maggio 2003, p. 16.
  16. ^ a b Domenico Pecile. «Unabomber, c'è l'incubo di un imitatore».. Corriere della Sera, 6 novembre 2000, pag. 17.
  17. ^ Luca Fazzo. «Unabomber avrà presto un volto».. La Repubblica, 26 marzo 2003, p. 25.
  18. ^ «Unabomber, volto sospetto ripreso dalle telecamere».. Corriere della Sera, 27 marzo 2003, p. 20.
  19. ^ Alessandro Russello. «Caccia a Unabomber: Di lui sappiamo tutto, presto cadrà in trappola».. Corriere della Sera, 5 novembre 2001, p. 16.
  20. ^ Carlo Bonini. «Un bimbo dai traumi irrisolti: ecco chi c'è dietro Unabomber».. La Repubblica, 11 maggio 2003, pag. 15.
  21. ^ a b Domenico Pecile. «Attentato alla Sagra, l'ombra dell'ecoterrorismo».. Corriere della Sera, 22 agosto 1994, p. 9.
  22. ^ a b Marco Pacini. «Pordenone, una bomba alla Sagra degli Osei».. La Repubblica, 22 agosto 1994, p. 13.
  23. ^ a b c Roberto Bianchin. «Unabomber, il sospettato in procura: esame del DNA per amici e parenti».. La Repubblica, 10 ottobre 2006, p. 37.
  24. ^ «Unabomber: periti chiedono più tempo per analisi dei reperti».. Ansa, 9 ottobre 2023.
  25. ^ Luigi Offeddu e Domenico Pecile. «Unabomber, mille i sospettati. In azione il software utilizzato dall'FBI nella caccia ai serial killer».. Corriere della Sera, 9 novembre 2000, p. 21
  26. ^ a b c d Roberto Bianchin. «Unabomber, c'è un altro indagato».. La Repubblica, 29 agosto 2006, p. 26.
  27. ^ a b Mauro Manzin. «Professore sott'inchiesta per le bombe dell'estate».. La Repubblica, 21 agosto 1996, p. 8.
  28. ^ «Unabomber - Terrore a Nord Est», di Jacopo Pezzan e Giacomo Brunoro, LA CASE Production, ISBN 9788897526056
  29. ^ Cronaca: ultime notizie di cronaca - Corriere della Sera.
  30. ^ «Inchiesta Unabomber: la procura archivia».. La Repubblica, 3 marzo 2009, p. 17.
  31. ^ «Unabomber, confermata in appello la condanna a Zernar».. La Nuova di Venezia e Mestre, 22 novembre 2010.
  32. ^ «Unabomber, Cassazione annulla la condanna al poliziotto Zernar».. Corriere del Veneto, 8 marzo 2012.
  33. ^ Unabomber, caso chiuso: «Così un poliziotto mi trasformò in mostro».
  34. ^ «Zornitta: Un incubo ma sono tranquillo».. La Nuova di Venezia e Mestre, 28 ottobre 2010.
  35. ^ Unabomber, Zornitta risarcito con 300mila euro. Lui: "Sono pochi", su tgcom24.mediaset.it. URL consultato il 1º novembre 2022.
  36. ^ «Tubi bomba, un indagato».. Corriere della Sera, 14 aprile 1996, p. 14.
  37. ^ Costantino Muscau. «Unabomber? Mi sento Tortora».. Corriere della Sera, 28 luglio 2002, p. 13.
  38. ^ «L'odissea delle vittime fra rinvii e burocrazia».
  39. ^ a b c «Sette attentati, stessa tecnica».. La Repubblica, 5 agosto 1996, p. 6.
  40. ^ Domenico Pecile. «Altro tubo bomba, paura a Pordenone».. Corriere della Sera, 3 ottobre 1995, p. 15.
  41. ^ Marco Pacini. «Il seminatore di bombe colpisce ancora».. La Repubblica, 3 ottobre 1995, p. 19.
  42. ^ a b c Alessandro Russello. «Esplosivo al cimitero, torna Unabomber».. Corriere della Sera, 3 novembre 2001, p. 15.
  43. ^ a b Pierfrancesco Fedrizzi. «Una lista con sei sospettati. Lui non sa trattenere l'odio».. La Repubblica, 25 luglio 2002, p. 21.
  44. ^ In italiano «Tu che raccogli tutto, guarda che bel pezzo di tubo».
  45. ^ In italiano «Dammi, che gli do un'occhiata».
  46. ^ a b Domenico Pecile. «Un'altra bomba sotto l'ombrellone».. Corriere della Sera, 6 agosto 1996, p. 5.
  47. ^ Roberto Bianchin. «Un'altra bomba sulla spiaggia».. La Repubblica, 6 agosto 1996, p. 6.
  48. ^ Domenico Pecile ed Elisabetta Rosaspina. «Bomba in spiaggia, grave un turista».. Corriere della Sera, 5 agosto 1996, p. 9.
  49. ^ Roberto Bianchin. «Sangue in spiaggia: una bomba nell'ombrellone».. La Repubblica, 5 agosto 1996, p. 6.
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Bibliografia

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