Rivoluzioni colorate
Rivoluzioni colorate
Data2000 - 2006
LuogoStati post-sovietici, Serbia
Causa
Esito
Schieramenti
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Rivoluzioni colorate è l'appellativo attribuito dai media internazionali e dai soggetti coinvolti a una serie di movimenti simili e correlati tra di loro che si sono sviluppati principalmente in alcuni Stati post-sovietici negli anni 2000.

I partecipanti delle Rivoluzioni colorate hanno utilizzato metodi nonviolenti e di disobbedienza civile, ispirati tra l'altro ai testi di Gene Sharp, per protestare contro governi ritenuti corrotti e/o autoritari. Questi movimenti, che hanno manifestato contro i governi in carica ritenuti filo-russi, hanno sostenuto le candidature di politici sostenitori di una politica filo-occidentale come Viktor Juščenko, Mikheil Saakašvili e Kurmanbek Bakiev. Tutte le rivoluzioni colorate hanno adottato uno specifico colore (o fiore) come simbolo, utilizzando tale colore negli strumenti di propaganda politica come adesivi, impermeabili e creando gruppi di educazione alla democrazia.[1][2]

Le rivoluzioni colorate coronate da successo si sono avute in Georgia (rivoluzione delle rose, 2003), Ucraina (rivoluzione arancione, dicembre 2004 e gennaio 2005) e, benché con derive violente, in Kirghizistan (rivoluzione dei tulipani, 2005). In tutte le occasioni, manifestazioni di massa durate diversi giorni seguite a contestate elezioni, vinte dai presidenti in carica accusati di brogli elettorali, hanno portato alle dimissioni o alla sconfitta del vecchio leader in elezioni immediatamente successive.

I governi risultato delle rivoluzioni colorate hanno operato un'apertura a occidente, andando tuttavia incontro a difficoltà e a un calo del consenso trovandosi a fronteggiare nuove manifestazioni di massa: in alcuni casi è stato necessario un compromesso con i vecchi nemici (come in Ucraina), mentre in altri si è assistito a una sorta di deriva autoritaria (come in Georgia e Kirghizistan).

Secondo alcuni commentatori questi movimenti avrebbero rappresentato una speranza di reale democratizzazione, e sarebbero stati il mezzo per un accesso allo stile di vita occidentale e all'economia di mercato e per un avvicinamento geopolitico all'occidente dei paesi post-sovietici. Secondo altri commentatori, invece, questi movimenti non sarebbero stati altro che un fenomeno orchestrato o utilizzato da una nuova élite, più giovane e filo-occidentale, in grado di incanalare il malcontento generale per arrivare al potere. Secondo altri ancora si sarebbe trattato di movimenti non spontanei, ma finanziati e organizzati da poteri stranieri (statali o privati), in particolare americani (ed è in questo senso che il termine viene usato nel lessico politico in senso dispregiativo).[3][4]

Rivoluzioni colorate negli Stati post-sovietici

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Manifestazione arancione a Leopoli, in Ucraina
La rivoluzione delle rose a Tblisi, in Georgia

Riuscite

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Fallite

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Movimenti ispirati o associati nel mondo

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Mappa delle rivoluzioni colorate

Influenze e strategie

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Propaganda politica

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Tutti i movimenti si sono costruiti attorno a un colore o a un simbolo ben identificabile, in maniera da rendere le manifestazioni di grande impatto anche grazie alla colorazione. Per ottenere questo effetto gli attivisti hanno distribuito magliette, impermeabili, cappelli, adesivi e altri oggetti colorati.

Ogni movimento ha inoltre avuto il proprio slogan evocativo, semplice e immediatamente comprensibile. Gli stessi movimenti giovanili hanno adottato nomi brevi ed evocativi, simili tra di loro.

«La nostra idea è quella di utilizzare le strategie del marketing commerciale (corporate branding) in politica. Il movimento deve avere un dipartimento marketing. Noi abbiamo adottato la Coca-Cola come nostro modello» ha spiegato Ivan Marovic di Otpor[9].

Non violenza e disobbedienza civile

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A partire dall'Unione delle Repubbliche di Serbia e Montenegro, i discorsi e le tecniche adottate dai movimenti sono state basate sulla non violenza e sulla disobbedienza civile, e in particolare agli studi e a testi dell'intellettuale statunitense Gene Sharp[11], disponibili sul sito internet del suo Albert Einstein Institute in decine di traduzione[12] e stampati e distribuiti dagli attivisti.

«La Bibbia di Pora è stato il libro di Gene Sharp, "Dalla dittatura alla democrazia". Dopo averlo tradotto, abbiamo scritto al signor Sharp il quale si è dimostrato molto ben disposto nei confronti della nostra iniziativa, e tramite il suo Albert Einstein Institute ha provveduto a finanziare la stampa di oltre 12.000 copie del libro che abbiamo poi distribuito gratuitamente» ha spiegato Oleh Kyriyenko di Pora[13].

Il pensiero di Gene Sharp, erede della tradizione non violenta, prevede un insieme di forme di resistenza e di operazioni per l'organizzazione di movimenti di massa pacifici attraverso i quali costringere il governo in carica ad abbandonare il potere. Queste tecniche, che vanno dai boicottaggi alla persuasione di elementi interni al potere costituito (come i militari), dalle provocazioni all'adozione di slogan e simboli facilmente identificabili per coinvolgere la popolazione, sono stati il leit motiv di tutte le rivoluzioni colorate, spesso propagandati dalle organizzazioni di giovani e studenti.

Altri sociologi e pensatori che hanno sostenuto con i loro studi le rivoluzioni colorate, costruendone lo strumento, sono stati Peter Ackerman dell'International Center on Non-violent Conflict, autore dei libri "Strategic Nonviolent Conflict: The Dynamics of People Power in the Twentieth Century" (1994), e "A Force More Powerful: A Century of Nonviolent Conflict" (2001)[14] e soprattutto produttore del documentario "Bringing Down a Dictator", sull'esperienza dei ragazzi serbi di Otpor, tradotto in arabo, mandarino, russo, spagnolo, burmese. Lo stesso Ackerman è anche il produttore del videogioco di strategia "Bringing down a dictator", che simula l'organizzazione e la gestione di un movimento nonviolento di protesta.

Altro personaggio coinvolgo il colonnello in pensione Robert Helvey, dell'Albert Einstein Institute, autore nel 2004 del libro "On Strategic Nonviolent Conflict".

Apertura al mercato e privatizzazioni

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I leader filo occidentali hanno adottato una politica di apertura delle loro economie, pur nelle difficoltà dovute alla dipendenza dal petrolio russo.

Note

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  1. ^ (EN) Gene Sharp, the Cold War Intellectual Whose Ideas Seduced the Left, su jacobinmag.com.
  2. ^ (EN) Gene Sharp: Author of the nonviolent revolution rulebook, su bbc.com.
  3. ^ Metodo Bergrado: i segreti delle rivoluzioni colorate, su limesonline.com.
  4. ^ I colori dell'arancione e dei biglietti verdi, su limesonline.com.
  5. ^ Baku opposition prepares for 'color revolution'
  6. ^ Baku police crush opposition rally with force, su isn.ethz.ch.
  7. ^ Belarus 'dictator' banned from entering EU and US Archiviato il 27 settembre 2007 in Internet Archive.
  8. ^ Mongolians protest for new poll, su news.bbc.co.uk.
  9. ^ Young democracy guerrillas join forces, The Guardian
  10. ^ Belarusians Wear Jeans in Silent Protest, ABC News
  11. ^ A history of non-violence, Ohio State Alumni
  12. ^ Albert Einstein Institute/ Downloads Archiviato l'11 febbraio 2008 in Internet Archive.
  13. ^ Radio Netherland, su radionetherlands.nl. URL consultato il 5 febbraio 2008 (archiviato dall'url originale il 20 settembre 2008).
  14. ^ Non-violent Conflict Center Archiviato il 9 maggio 2008 in Internet Archive.
  15. ^ BISNIS, su bisnis.doc.gov (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2008).
  16. ^ Letter of Intent, International Monetary Fund, 2004
  17. ^ EurasiaNet Business Report, 2008, su eurasianet.org. URL consultato il 6 febbraio 2008 (archiviato dall'url originale il 12 maggio 2008).
  18. ^ Law of Georgia on State Property Privatization (PDF), su privatization.ge (archiviato dall'url originale l'11 ottobre 2007).
  19. ^ World Bank Database, 2000-2006, su rru.worldbank.org. URL consultato il 6 febbraio 2008 (archiviato dall'url originale il 15 giugno 2008).
  20. ^ Eurasia Business Report, 2005, su eurasianet.org. URL consultato il 6 febbraio 2008 (archiviato dall'url originale il 16 giugno 2018).
  21. ^ Privatization.ge, 05/02/2008
  22. ^ A different sort of oligarch, su economist.com, The Economist, 29 luglio 2004. URL consultato l'8 marzo 2014.
  23. ^ International Monetary Fund Database 2002: 5,5%; 2003: 11,9%; 2004: 5,9%; 2005: 9,6%; 2006: 9,4%; 2007: 11% (proiezione)
  24. ^ Doing Business Report, 2008

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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