Nonostante origine e storia rimangano in gran parte avvolte nel mistero, i "Popoli del Mare" sono documentati dalle fonti scritte in lingua egizia durante la tarda XIX dinastia e in particolare durante l'ottavo anno di regno di Ramses III, della XX dinastia, quando tentarono di penetrare nel territorio egizio[3]. Nella Grande iscrizione di Karnak[4] il faraone egizio Merenptah (1213-1203 a.C.) parla di "nazioni (o popoli[5]) stranieri del mare" (in egizio traslitteratonꜣ ḫꜣs.wt n pꜣ ym)[6][7].
I Popoli del Mare (nꜣ ḫꜣs.wt n pꜣ ym) in geroglifici
Le tavolette egee in lineare B di Pylos risalenti alla tarda età del bronzo dimostrano la diffusione, in quel periodo storico, di bande di guerrieri mercenari e le migrazioni di popolazioni (alcuni autori si sono chiesti quali fossero i motivi). Tuttavia la precisa identità di queste "popolazioni del mare" è ancora un enigma per gli studiosi.
Alcuni indizi suggeriscono invece che per gli antichi egizi l'identità e le motivazioni di queste popolazioni non fossero sconosciute. Infatti molte avevano cercato ingaggio presso gli Egiziani o avevano intrattenuto relazioni diplomatiche con loro a partire almeno dalla media età del bronzo. Per esempio alcuni Popoli del Mare, come gli Shardana, furono utilizzati come mercenari dal faraone Ramses II.
La narrazione storica deriva principalmente da sette fonti dell'Antico Egitto[8] e, sebbene in queste iscrizioni la designazione "del mare" non appaia in relazione a tutti questi popoli, il termine "Popoli del mare" è comunemente usato nelle pubblicazioni moderne per riferirsi ai seguenti nove popoli, in ordine alfabetico[3]:
La prima menzione di queste genti compare nell'obelisco di Biblo databile dal 2000 al 1700 a.C. dove viene nominato Kwkwn figlio di Rwqq, traslitterato Kukunnu figlio di Lukka[13].
I Lukka appaiono nuovamente, assieme agli Shardana, molto più tardi nelle lettere di Amarna (forse di Amenofi III o suo figlio Akhenaton) attorno alla metà del XIV secolo a.C. Le lettere ad un certo punto riferiscono di uno Shardana[14], apparentemente un mercenario rinnegato, e in un altro punto di tre Shardana che sono stati uccisi da una guardia egizia[15]. I Dauna sono menzionati in un'altra lettera[16], ma solamente in un passaggio dove viene riferita la morte del loro re. I Lukka sono accusati[17], assieme ai Ciprioti, di attaccare gli Egiziani, mentre gli stessi Ciprioti smentiscono affermando che i loro villaggi sono stati razziati dai Lukka.
Nel secondo anno del suo regno, Ramses II sconfisse i Popoli del Mare nel delta del Nilo e catturò alcuni dei pirati. Un'iscrizione di Ramses nella stele di Tani[18][19], dove si menzionano le incursioni dei Popoli del Mare e la loro cattura, testimonia dei continui pericoli che questi predoni apportavano alle coste egizie:
«I ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli[20]»
Gli Shardana vennero successivamente assegnati come scorta al Faraone e vennero quindi coinvolti nella battaglia di Qadesh contro gli Ittiti.
Un'altra stele solitamente citata insieme a quella di Tani è la "stele di Assuan", che menziona le operazioni del re per sconfiggere un certo numero di popoli tra cui quelli del "Grande Verde" (il nome egiziano del Mediterraneo).
Il maggiore evento del regno del faraone Merenptah (1213-1203 a.C.) fu la battaglia contro la cosiddetta confederazione "dei Nove Archi" a Perire, nel delta occidentale del Nilo, fra il quinto e sesto anno del suo regno. Il saccheggio compiuto da questa confederazione era stato così grave che la regione era stata "abbandonata come terreno per il pascolo del bestiame, ed era desolata come ai tempi degli antenati".[21]
Il Faraone narra la guerra in quattro iscrizioni: la Grande iscrizione di Karnak, che racconta la battaglia, l'obelisco del Cairo, la stele di Atribis, dove è leggibile una versione riassuntiva dell'iscrizione di Karnak, e una stele trovata a Tebe, la stele di Merenptah, che descrive la pace successiva alla vittoria.[22]
Le iscrizioni ci riferiscono che tra la confederazione dei Nove Archi, composta in parte da tribù libiche che avevano il comando dell'operazione, vi erano un certo numero di Popoli del Mare[23] tra cui gli Ekwesh, i Teresh, i Lukka, gli Shardana e gli Shekelesh.
Merenptah afferma che sconfisse gli invasori in appena sei ore, uccidendo 6.000 soldati e facendo 9.000 prigionieri. Sulla Stele di Merenptah viene menzionata un'altra spedizione militare condotta da Merenptah verso la terra di Canaan dove sono citati per la prima volta gli Ysrỉr ossia gli Israeliti.
I Popoli del Mare vengono citati in quattro lettere scoperte a Ugarit, città distrutta attorno a 1180 a.C. durante il regno di Ammurapi (1191-1182 a.C.). Le lettere risalgono alla prima metà del XII secolo a.C.
La lettera RS 34. 129 è stata scoperta nella zona meridionale della città; venne inviata dal re ittita Šuppiluliuma II al prefetto della città; questa lettera ingiunge la restituzione di tale Ibnadushu che era stata rapita dagli Shikala (probabilmente i Shekelesh "che vivevano sulle navi"); il significato della lettera è controverso, ma sembra che si tratti di un qualcosa collegato all'attività d'intelligence del grande impero anatolico.
Altre tre lettere (la RS L1, RS 20. 238 e la RS 20.18) afferiscono a una corrispondenza tra il re di Ugarit Hammurabi e quello di Cipro Eshuwara; dalla lettura si deduce che il re di Ugarit avverte i ciprioti dell'avvistamento in mare di venti imbarcazioni nemiche di cui si chiede la localizzazione.
Nessuno dei due paesi fu in grado di contenere le devastazioni attuate dai Popoli del Mare, come dimostrato da un'altra lettera scoperta dagli archeologi (RS 18. 147):
«Al tempo di mio padre furono avvistate le prime navi dei nemici: ogni città fu bruciata e malvagità furono condotte in tutto il mio paese. Non sa forse mio padre che tutte le mie truppe e i miei carri si trovano nella terra di Hatti e che tutte le mie navi si trovano nella terra dei Lukka? Così il paese è abbandonato a sé. Mio padre possa sapere che sette navi nemiche sono giunte sin qui che hanno inflitto gravi danni.[24]»
In un'ulteriore lettera Ammurapi chiede soccorso al viceré di Carchemish, sopravvissuto alle invasioni dei Popoli del Mare, e quest'ultimo non poté fare altro che limitarsi a rispondergli con dei consigli:
«Le navi del nemico sono state viste in mare! È bene rimanere ben saldi. Nello specifico, dove si trovano le truppe e i carri? Non sono forse essi dislocati nelle vicinanze della città? Sono invece forse alle spalle del nemico per circondarlo? Circonda la città con dei bastioni e fai entrare in città le truppe e i carri incoraggiandoli ad attendere il nemico con grande risolutezza.[25]»
Ramses III, il secondo re della Ventesima Dinastia, che regnò per più della metà del XII secolo a.C., si trovò a contrastare un'altra ondata di invasioni da parte dei Popoli del Mare (la più documentata) nel suo ottavo anno di regno. Il faraone narra questa vicenda in una lunga iscrizione nel tempio di Medinet Habu:
«Le nazioni straniere (Popoli del Mare) hanno messo a punto una cospirazione presso le loro isole. Improvvisamente essi hanno abbandonato le loro terre e si sono gettate nella mischia. Nessuno poteva resistere alle loro armi: da Hatti, a Qode, a Cherchemish, ad Arzawa e Alashiya, tutte furono distrutte allo stesso tempo. Un campo militare fu da loro insediato in Amurru; qui essi fecero strage della gente del posto e la terra fu lasciata in uno stato di desolazione come se non fosse mai stata abitata. Quindi essi si diressero verso l'Egitto dove era stato innescato il focolaio della rivolta. La loro confederazione era composta dai Pelaset, dagli Tjeker, dagli Shekelesh, dai Denyen e dagli Weshesh. Essi misero le proprie mani sulla terra che si stendeva, mentre i loro cuori confidavano che il piano sarebbe andato in porto.[26]»
L'Onomastico di Amenemope rivela alcuni indizi sullo stanziamento, su permesso dei re ramessidi, dei Popoli del mare lungo le coste levantine. Datato intorno al 1100 a.C. (fine della XXII dinastia), questo documento elenca semplicemente dei nomi. Dopo sei nomi di luoghi, quattro dei quali erano in Filistea, lo scriba elenca gli Shardana (riga 268), i Tjeker (riga 269) e i Peleset (riga 270), che si potrebbe presumere occupassero quelle città[28]. Anche il viaggio di Unamon colloca gli Tjeker nel Dor in quel periodo. Il fatto che la tribù marittima biblica di Dan fosse inizialmente situata tra i Filistei e i Tjekker, ha spinto alcuni a suggerire che potrebbero essere stati originariamente i Denyen. Sembra che gli Shardana fossero stanziati intorno a Megiddo e nella Valle del Giordano, e i Weshwesh (collegati da alcuni con la tribù biblica di Aser) potrebbero essersi insediati più a nord.
Il fatto che varie civiltà, tra cui la civiltà Ittita, Micenea e il regno di Mitanni, scomparvero contemporaneamente attorno al 1175 a.C. ha fatto teorizzare agli studiosi che ciò fu causato dalle invasioni dei Popoli del Mare. I resoconti dei faraoni sulle razzie dei Popoli del Mare nel mediterraneo orientale sono confermati dalla distruzione di Hatti, Ugarit, Ashkelon e Hazor.
«Un’ipotesi avanzata di recente attribuisce il collasso della società micenea a truppe di mercenari che alla fine dell’Età del Bronzo avrebbero dato vita in tutto il Mediterraneo a veri e propri eserciti, causando il saccheggio e la distruzione di numerose città.
La loro supremazia sarebbe stata dovuta all’adozione di una nuova tecnica bellica fondata su una fanteria leggera armata di giavellotti e spade che si sarebbe rivelata vincente rispetto all’uso del carro trainato da cavalli proprio degli stati dell’Età del Bronzo. Questi gruppi di mercenari sarebbero da identificare nei Popoli del Mare responsabili degli attacchi nel Levante e contro l’impero egizio. Di fatto è certa nel corso del XIII secolo a.C. la circolazione in Grecia e nel Levante di artigiani e guerrieri provenienti dal Mediterraneo centrale, tra i quali è forse possibile individuare mercenari al servizio degli stati micenei. La trasformazione degli armamenti e l’introduzione di un nuovo tipo di spada e di scudo nel Mediterraneo orientale si verifica negli stessi anni, e potrebbe essere attribuita proprio a questi gruppi. Sono mercenari d’altronde quegli Sherden assoldati dagli Egizi e da questi ultimi impiegati anche contro i Popoli del Mare.»
Come osserva l'ittitologo australiano Trevor Bryce "queste invasioni non erano soltanto delle operazioni militari ma erano accompagnate da grandi movimenti di popolazioni per terra e mare, alla continua ricerca di nuove terre in cui insediarsi." [30]
Questa situazione è confermata dai bassorilievi del tempio di Medinet Habu che mostrano come i guerrieri Peleset e Tjekker, che combatterono nella battaglia terrestre contro Ramesse III, sono accompagnati da donne e bambini caricati su carri trainati da buoi.[30]
Uno studio del 2019, condotto da un team interdisciplinare di studiosi del Max Planck Institute for the Science of Human History e della Leon Levy Expedition, ha analizzato il DNA antico estratto da scheletri trovati ad Ascalona, identificati come "Filistei" (associati ai Peleset) vissuti nell'Età del Ferro. Questi derivavano la maggior parte della loro ascendenza dal pool genico locale levantino, ma con una certa quantità di DNA derivato anche da una sorgente proveniente dall'Europa meridionale, come i Cretesi dell'Età del Bronzo (Odigitria), gli Iberici dell'Età del Bronzo o i Sardi moderni.[34]
Il dato genetico confermerebbe così le precedenti testimonianze storiche e archeologiche di un evento migratorio dall'Europa meridionale, che però non avrebbe lasciato un impatto genetico di lunga durata nella popolazione della regione.[34]
Di provenienza anatolica, è stata proposta una loro identificazione con i Dauni della Puglia e i Danai, altro nome dei Micenei di stirpe greca.
È stato suggerito che i Denyen finirono per stabilirsi in Canaan, dove avrebbero formato la cosiddetta tribù di Dan, una delle tribù di Israele.[35][36]
Forse identificabili con gli Ahhiyawa degli archivi ittiti di Ḫattuša e Ugarit, ossia probabilmente gli "Achei", micenei di stirpe greca, che dovevano essersi già stabiliti sulla costa occidentale dell'Anatolia: la Millawanda dei testi ittiti potrebbe essere identificata con Mileto, mentre Wiluša indicherebbe forse Ilio, cioè Troia.[37]
Un ostacolo a questa identificazione tra Eqweš e Ahhiyawa, o Achei, consiste tuttavia nel fatto che i primi sembra praticassero la circoncisione e che quest'uso è piuttosto insolito tra le popolazioni indoeuropee, di cui gli Achei fanno parte.
Lukka si trovava nell'Anatolia sudoccidentale. Tuttavia, la sua esatta estensione è oggetto di dibattito. Trevor Bryce ha sostenuto che le terre di Lukka coprivano una vasta area comprese le regioni più tardi conosciute come Licaonia, Pisidia e Licia[38]. Altri ricercatori come Ilya Yakubovich hanno sostenuto che Lukka fosse limitata alla Licia[39].
Sono identificabili con la popolazione dei Filistei, documentata anche nella Bibbia, secondo cui provenivano da Kaftor, forse identificabile con Creta. I Filistei si insediarono sul finire dell'Età del Bronzo in Palestina dove costituirono varie città-Stato; i ritrovamenti archeologici farebbero ipotizzare un'origine egea di questa popolazione, probabilmente micenea.
Alcune recenti scoperte hanno permesso di stabilire una loro presenza in Sardegna in concomitanza (o in un periodo antecedente) ai Fenici[40].
Gli Shardana sono citati per la prima volta dalle fonti egizie nelle lettere di Amarna (1350 a.C. circa) durante il regno di Akhenaton. Compaiono poi durante il regno di Ramses II, Merenptah e Ramses III, con i quali ingaggiarono numerose battaglie navali. 520 Shardana vennero assegnati come scorta al faraone Ramses II durante la battaglia di Qadeš e, sempre in qualità di reparti speciali, furono stanziati in colonie in Medio e Alto Egitto fino alla fine dell'età ramesside come testimoniato da vari documenti amministrativi databili al regno di Ramses V e di Ramses XI.
Nella raffigurazione utilizzano lunghe spade triangolari, pugnali, lance e uno scudo tondo. Il gonnellino è corto, sono dotati di corazza e di un elmo provvisto di corna. Le similitudini fra il corredo bellico dei guerrieri Shardana e quello dei Sardi nuragici, nonché l'assonanza del nome Shardana con quello della Sardegna (SRDN nella Stele di Nora), hanno fatto affermare, a diversi studiosi, che gli Shardana fossero una popolazione proveniente dall'isola[27][41][42][43][44][45][46][47][48]. Le statue stele della vicina civiltà torreana nel sud della Corsica, raffiguranti guerrieri dotati di elmi cornuti, corsetti e spade, sono un altro indizio che fa propendere per un'origine nella regione mediterranea centro-occidentale[49].
In precedenza si era anche ipotizzato che si fosse insediata in Sardegna in seguito alla tentata invasione dell'Egitto, provenendo dal Mediterraneo orientale.[50]
Un tempo anche scritto Sakalasa[51] o, più correttamente, Shakalasha (Shklsh). Gli Shekelesh sono stati identificati anche con gli Shikalayu (ittita : 𒅆𒅗𒆷𒅀𒌋 ši-ka-la-ia/u-u) menzionati da re ittita Šuppiluliuma II in una lettera al governatore di Ugarit. Secondo Šuppiluliuma, gli Shikalayu erano quelli "che dimorano/vivono sulle navi".[52]
Sono stati associati ai Siculi, popolazione di lingua indoeuropea che si stanziò nella tarda età del bronzo in Sicilia orientale, scacciando verso occidente i Sicani[53]. In alternativa è stata proposto un'origine dall'area egeo-anatolica, forse da Sagalassos[54][55], tuttavia Šuppiluliuma II non sembra avere molta familiarità con essi[56].
I Tereš, o Turša, vengono identificati da alcuni studiosi con i Tirsenoi o "Tirreni", il nome con il quale gli autori greci chiamavano gli Etruschi. Tuttavia dei Tirreno-Etruschi, nei testi d'epoca Miceneo-Ittita e nei poemi classici Odissea e Iliade, non si trova traccia. Rapporti dei Tirreni col mondo del Mar Egeo sembrerebbero esistere in seguito al ritrovamento nell'isola di Lemno della cosiddetta Stele di Lemno, un'iscrizione rinvenuta nel 1885, in cui è attestata una lingua che si ritiene correlata all'etrusco più arcaico attestato in Etruria meridionale. Lo storico olandese Luuk de Ligt ipotizza che la presenza nel VI secolo a.C. nell'isola di Lemno di una comunità che parlava una lingua simile all'etrusco sia dovuta a movimenti di mercenari arruolati nella penisola italica dai Micenei,[57] così come l'archeologo austriaco Reinhard Jung collega ai Popoli del Mare movimenti di guerrieri dall'Italia all’Egeo e al Vicino Oriente.[58] Studiosi come Norbert Oettinger, Robert Drews, Michel Gras e Carlo De Simone vedono nel lemnio la testimonianza di un insediamento piratesco o commerciale etrusco nell'isola di Lemno avvenuto prima del 700 a.C.,[59][60][61][62][63] non necessariamente collegato ai Popoli del Mare.[64]
Menzionati anche dai documenti ittiti, non c'è consenso sulla forma originaria o sull'etimologia del nome, né sulla loro provenienza. Talvolta sono stati identificati con i Siculi, legati anche agli Shekelesh: altro esonimo attribuito a un gruppo diverso dei popoli del mare. Un'altra teoria, avanzata da Flinders Petrie, collega l'etnonimo a Zakros, nella parte orientale di Creta[65]. Alcuni accademici hanno accettato questa associazione[66]. È stata suggerita anche una possibile identificazione con i Troiani, dell'Anatolia nordoccidentale. Tuttavia, Trevor Bryce ha respinto questa identificazione come "pura speculazione".
I Tjeker potrebbero aver conquistato la città di Dor, sulla costa levantina, vicino alla moderna Haifa, trasformandola in una città grande e ben fortificata (classificata come "Dor XII", att. 1150–1050 circa). Il centro di un Regno di Tjeker è confermato archeologicamente nella pianura di Sharon settentrionale. La città fu violentemente distrutta nella metà dell'XI secolo a.C.
A differenza di altri popoli del mare, i Wešeš apparentemente non sono rappresentati nei rilievi commemorativi di Ramses III. È stato ipotizzato che potrebbero essere originari dell'Anatolia occidentale, o nella regione della Caria o della Troade - poiché si è cercato di mettere in relazione il loro nome con il toponimo Wiluša, che viene identificato con Troia - o forse in un'area situato tra la Cilicia e la Siria attorno al Golfo di Iskenderun.[67][68]
È stata proposta anche un'identificazione con il popolo italico degli Osci[33], ipotesi basata anche sul ritrovamento di reperti archeologici di matrice protovillanoviana nell'Egeo[56]. Un loro possibile insediamento è stato identificato nella regione di Hama, in Siria[56], dove è stata rinvenuta una necropoli a incinerazione con più di 1000 urne cinerarie[69].
L'egittologa Alessandra Nibbi sostenne a partire dal 1972 che l'identificazione dei cosiddetti Popoli del Mare derivasse da una non corretta lettura delle fonti egizie, in particolare della Grande iscrizione di Karnak.[70]
^(EN) Syria: Early history, su Encylopedia Britannica. URL consultato l'8 settembre 2012.
^(EN) Sea Peoples, su Encylopedia Britannica. URL consultato l'8 settembre 2012.
^abcUna comoda tabella riguardante i Popoli del Mare, riportante il testo geroglifico, la traslitterazione e la traduzione in inglese, è riportata nella dissertazione di Woudhuizen (2006), che la sviluppò a partire dai lavori di Kitchen ivi citati.
^Riga 52. L'iscrizione è mostrata in: Manassa, p. 55, tavola 12.
^Come osservato da Gardiner, vol. 1, p. 196, altri testi presentano
ḫ3sty.w "genti straniere"; entrambi i termini possono ugualmente riferirsi al concetto di "stranieri". Zangger (si veda il collegamento esterno sotto indicato) esprime un punto di vista condiviso quando afferma che Sea Peoples (Popoli del Mare) non traduce questo termine e altre espressioni, ma è un'innovazione accademica. La dissertazione di Woudhuizen e l'articolo di Morris identificano in Gaston Maspero colui che per primo utilizzò nel 1881 il termine peuples de la mer.
^abBreasted, vol. III, §588 / p.248 e §601 / p. 255: "of the countries of the sea". Breasted wrote in a footnote regarding this designation "It is noticeable that this designation, both here and in the Athribis Stela (1. 13), is inserted only after the Ekwesh. In the Athribis Stela Ekwesh is cut off by a numeral from the preceding, showing that the designation there belongs only to them."
^abGardiner, p. 196 (Vol. 1), in his commentary on the Onomasticon of Amenope, No. 268, "Srdn", wrote: "The records of Meneptah are much more explicit: the great Karnak inscription described how the Ekwesh, Tursha, Lukki, Sherden and Sheklesh (L.1) had been incited against Egypt by the prince of the Libu (Libyans); in L.52 the Sherden, Sheklesh and Ekwesh are collectively described as
(var.
)
'the foreign lands (var. 'foreigners') of the sea[...]
Note: Gardiner's reference to the alternative ("var.") writing 'foreigners' referred to Gustave Lefebvre's " Stèle de l'an V de Méneptah (archiviato dall'url originale il 6 febbraio 2017).", ASAE 27, 1927, p.23, line 13, describing the Athribis Stele.
^Breasted, vol. IV, §403 / p.201: "in their isles" e "of the sea"
^(EN) T.R. Bryce, The Lukka Problem - And a Possible Solution, in Journal of Near Eastern Studies, vol. 33, n. 4, ottobre 1974, pp. 395-404. La prima pagina è disponibile su jstor.org.. L'iscriztione viene menzionata anche nella dissertazione di Woudhuizen (2006), p. 31.
^Lettere EA 122, 123, che sono duplicati. Vedere l'articolo pubblicato su questo argomento da Megaera Lorenz sul sito dell'Università statale della Pennsylvania: (EN) Megaera Lorenz, The Amarna Letters, su courses.psu.edu, The Pennsylvania State University. URL consultato il 23 gennaio 2016 (archiviato dall'url originale il 19 giugno 2002). Amarna Letters, Letters EA 122, 123.
^Questo e altri documenti sono citati nell'articolo The Shardana di Megaera Lorenz sul sito della Penn State: (EN) Megaera Lorenz, The Shardana, su libraries.psu.edu, The Pennsylvania State University. URL consultato il 23 gennaio 2016 (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2008).
^Questa è una versione anteriore del suo articolo, in cui riporta una citazione tratta da Kitchen che non si trova nel sito sotto indicato nella sezione Collegamenti Esterni. Il Volume III, § 491, p. 210 di Breasted (disponibile su Google Books) fornisce una traduzione alquanto diversa del passaggio. Sfortunatamente, ampie parti del testo sono mancanti e devono essere restaurate, ma entrambe le versioni concordano riguardo agli Sherden e alle navi da guerra.
^(EN) Kenneth Kitchen, Pharaoh Triumphant: The Life and Times of Ramesses II, King of Egypt, Aris & Phillips, 1982, pp. 40-41.
^Tutte e 4 le iscrizioni sono riportate in: Breasted, vol. III, Reign of Meneptah, pp. 238 ss., § 569 ss. Per la Grande iscrizione di Karnak si veda anche Manassa.
^Breasted, p. 243, in cui si citano le righe 13-15 dell'iscrizione.
^Jean Nougaryol et al., Ugaritica, V, 1968, n. 24, pp. 87-90.
^Jean Nougaryol et al., Ugaritica, V, 1968, p. 86, n. 23.
^Redford, p. 292. Esiste un certo numero di copie, integrali o parziali, la migliore delle quali è il Papiro Golenischeff, o Papiro di Mosca 169, conservato al Museo Puškin di Mosca (vedi (EN) Onomasticon of Amenemipet, su Archaeowiki). L'autore vi viene indicato come Amenemope, figlio di Amenemope.
^ Anna Lucia D'Agata, Popoli del Mare, in Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014. URL consultato il 25 ottobre 2023.
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«Ma io ritengo che le conseguenze della nostra osservazione sulla continuità degli elementi eneolitici in quelli della civiltà nuragica abbiano una portata maggiore di quella veduta dal collega mio; che cioè la civiltà degli Shardana siasi qui elaborata completamente, dai suoi germi iniziali, sia qui cresciuta, battagliera, vigorosa, e che lungi dal vedere nella Sardegna l'estremo rifugio di una razza dispersa, inseguita, come una fiera fuggente, dall'elemento semitico che venne qui ad azzannarla e a soggiogarla, noi dobbiamo vedere il nido donde essa spiegò un volo ardito, dopo aver lasciato una impronta di dominio, di lotta, di tenacia, sul suolo da lei guadagnato alla civiltà.»
«In the nuragic sanctuaries and hoards we find an extraordinary variety of votive statuettes and models in bronze. Figures of warriors, crude and barbaric in execution but full of life, are particularly common. The warrior was armed with a dagger and bow-and-arrows or a sword, covered with a two-horned helmet and protected by a circular buckler. The dress and armament leave no doubt as to the substantial identity of the Sardinian infantryman with the raiders and mercenaries depicted on Egyptian monuments as "Shardana". At the same time numerous votive barques, also of bronze, demonstrate the importance of the sea in Sardinian life.»
«When you look at plans of sites of the Shardana in Sardinia, in the second millennium BCE, throughout this entire period, you can see wavy walls, you can see corridors... you can see high heaps of stones, which were developed into the classical nuraghic culture of Sardinia. The only good architectural parallels are found in Sardinia and the Shardana culture.»
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Sito, su centrochampollion.it, Centro Studi di Egittologia "J. F. Champollion". URL consultato il 30 giugno 2011 (archiviato dall'url originale il 27 febbraio 2010). Progetto di ricerca sugli Shardana in Egitto e nel Mediterraneo a cura del Centro Studi Champollion diretto da Giacomo Cavillier.
Carlo Figari, Shardana, il mistero dei popoli del mare, su csia.unica.it, L'Unione Sarda, 15 marzo 2004. URL consultato il 23 gennaio 2016 (archiviato dall'url originale il 4 gennaio 2005).