Manfredi Beninati (Palermo, 11 gennaio 1970) è un pittore, scultore e installatore italiano.
Dopo aver abbandonato gli studi alla Facoltà di Giurisprudenza all'Università di Palermo, ha studiato cinema ed ha lavorato, agli inizi degli anni novanta, come assistente alla regia in alcune produzioni italiane[1] come Il sole buio di Damiano Damiani[2] o La piovra 5. Ha quindi vissuto all'estero (Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi) fino al principio del XXI secolo quando, rientrato in Italia, inizia a dedicarsi all'arte ("per via d'una scommessa", racconterà in più d'un'intervista[3]).
Dal debutto avvenuto nel 2003 con una personale alla Galleria Lorcan O'Neill di Roma, Beninati ha esposto in mostre personali a Londra, New York[4][5], Buenos Aires[6], Tokio[7], Roma e Los Angeles e collettive in musei come la Royal Academy[8] e la Hayward Gallery[9] di Londra, il MAXXI[10] di Roma, il Parrish Museum di Southampton, l'Hammer Museum[11] di Los Angeles.
Ha, inoltre, partecipato ad un gran numero di biennali come quelle di Liverpool[12], Atene[13], Istanbul, Thessaloníki[14], Shanghai, Mardin[15] e, per due volte Venezia, nel 2005 e nel 2009[16]. Alla 51^ Biennale di Venezia ha ricevuto il Premio del Pubblico per il padiglione italiano. Altri premi includono il Fulbright Award ed il Rome Prize[17].
Da alcuni anni vive e lavora tra Roma, Los Angeles e Palermo, dove nel 2010 ha fondato una associazione no-profit intitolata alla memoria del fratello Flavio.[18][19][20][21][22][23]
Sebbene sia maggiormente conosciuto per i suoi olii e le sue installazioni, il lavoro di Beninati si estende anche alle tecniche del disegno, del collage, della sculture ed alla scrittura. Sia i suoi quadri che i disegni sono eseguiti con un lungo e laborioso processo di stratificazione della materia (pigmento nel primo caso e grafite o gesso nel secondo) a fissare la percezione del passare del tempo, attraverso cui si intravedono, più o meno distintamente i soggetti che in forza di questo gioco di rarefazione perdono il ruolo di soggetto assumendo quello di mero oggetto in un equilibrio naturale in cui nulla ha più peso del resto. I lavori di Beninati vengono spesso descritti come inquietanti e rasserenanti al tempo stesso.[24][25][26][27] Le Installazioni sono, in un certo senso, una proiezione di tutto ciò nella tridimensionalità. Si tratta quasi sempre di ambienti perniciosamente ricostruiti, spesso in scala 1:1, e con cura maniacale per i dettagli, perché risultino all'occhio del visitatore spazi totalmente reali, ma inseriti in contesti inverosimili. Il più delle volte tali ambienti non sono accessibili al pubblico ma soltanto visibili attraverso una finestra o una porta appena schiusa da cui è possibile cogliere soltanto un determinato scorcio, a volte persino riflesso su una superficie specchiante.
Tra le installazioni più emblematiche si ricordano: