Giovan Battista GelliGiovanni Antonio de' Rossi, medaglia di Giovan Battista Gelli
«Ricordati un poco di Matteo Palmieri, che era tuo vicino, che fece sempre lo speziale, e non di manco s'acquistò tante lettere ch'e' fu mandato da' Fiorentini per imbasciadore al Re di Napoli; la quale degnità gli fu data solamente per vedere una cosa sì rara, che in un uomo di sì bassa condizione, cadessono così nobili concetti di dare opera agli studi, senza lasciare il suo esercizio; e mi ricorda avere inteso che quel re ebbe a dire: pensa quel che sono a Firenze i medici, se gli speziali vi son così fatti.»
(G.B. Gelli, I capricci del bottaio, ragionamento III)
Figlio di Carlo, un agiato mercante di vini originario del borgo di Peretola e trasferitosi a Firenze col fratello, nacque nel 1498 nella cura di San Paolo.
Esercitò per tutta la vita il mestiere di calzolaio e studiò letteratura e filosofia da autodidatta. Si sposò con Pantesilea, dalla quale ebbe due figlie, Alessandra e Marietta.
Fedele a Cosimo I, ricoprì cariche pubbliche di scarso rilievo, dapprima in qualità di magistrato delle Arti minori, nel 1524, poi come membro del Collegio dei Dodici Buonomini, organo consuntivo del governo mediceo, nel 1539[3].
Fu membro dell'Accademia degli Umidi dal 1540, ne approvò la trasformazione in Accademia Fiorentina l'anno successivo e ne fu console nel primo semestre del 1548.[4] Il 5 agosto 1541 vi tenne la sua prima lezione, commentando un passo sulla lingua di Adamo, tratto dal canto XXVI del Paradiso di Dante. Tenne saltuariamente lezioni su Dante e Petrarca presso l'Accademia fino al 1551.
Le sue opere più famose sono I capricci del bottaio (1546), ragionamenti fra un bottaio e la propria anima (inserito nel primo indice dei libri proibiti) e La Circe (1549), dialogo fra Ulisse e i propri compagni trasformati in animali. Tra le tesi sostenute nelle sue opere vi sono quelle della discendenza diretta da Noè dei fondatori di Firenze, dovuta probabilmente all'influenza sul Gelli degli Antiquitatum variarum volumina XVII, un falso confezionato da Annio da Viterbo, e quella della superiorità della lingua fiorentina sulle altre.
Nel settembre 1553 fu nominato da Cosimo I lettore ordinario della Commedia presso l'Accademia Fiorentina e recitò, da qui fino all'anno della sua morte, nove letture dantesche, pubblicate con cadenza annuale, che ebbero grande influenza sugli interpreti di Dante durante tutto il Cinquecento fiorentino.
Morì il 24 luglio 1563, nella sua casa di via dei Fossi, e venne sepolto nella tomba di famiglia in Santa Maria Novella.