Giuseppe Ciardi più noto come Beppe (Venezia, 18 marzo 1875 – Quinto di Treviso, 14 giugno 1932) è stato un pittore italiano.
Figlio di Linda Locatelli[1] e di Guglielmo, uno dei principali esponenti del paesaggismo realista veneto e fratello maggiore di Emma[2], pittrice molto conosciuta nel panorama internazionale[3].
Dopo aver studiato Scienze Naturali all'Università di Padova[4], nel 1896 si iscrive alla Scuola di Pittura dell'Accademia di belle arti di Venezia, dove è allievo del verista Ettore Tito.
Nello stesso anno, espone alla Mostra dell’Arte e dei Fiori di Firenze Giorno di pioggia - Zoldo alto e Interno d’una cucina - Zoldo alto e al Castello Sforzesco di Milano sessanta studi paesaggistici eseguiti dal vero nei luoghi delle sue abitazioni familiari di Venezia, Canove d'Asiago e Quinto di Treviso (nota come Villa Ciardi[5]).
Nel 1899 esordisce alla Biennale di Venezia, dove trova immediata visibilità, con Monte Rosa e il trittico di stampo impressionista Terra in fiore, opera che segna un deciso distacco dalla pittura paterna e l'avvicinamento alle tematiche divisioniste espresse da Giovanni Segantini[6].
Nel 1900 si aggiudica il premio Fumagalli all'Esposizione della Permanente di Milano con Traghetto delle Agnelle, l'anno successivo è all'Esposizione internazionale di Monaco di Baviera con Sole di luglio, mentre nel 1904 partecipa all'Esposizione internazionale di San Francisco, dove viene insignito di una medaglia d'argento e nel 1906 espone undici quadri della serie Silenzi notturni e crepuscolari all'Esposizione internazionale del Sempione.
Nel 1912 ottiene ulteriore visibilità figurando alla X Biennale di Venezia con una esposizione personale di 45 tele, fra le quali la nota I saltimbanchi. Dopo una breve interruzione dell'attività, concomitante con la partecipazione alla prima guerra mondiale, partecipa a numerose Biennali di Venezia, segnate dalla diffusione di movimenti avanguardistici quali il Futurismo e l'Espressionismo.
Muore improvvisamente il 14 giugno 1932 a Quinto di Treviso, dove viene sepolto[7]; la moglie Emilia Rizzotti (scomparsa nel 1952), modella di numerosi lavori di Ciardi, raccoglie una grande quantità di opere presso Villa Ciardi, istituendo una collezione che terminerà con la cessione delle opere da parte degli eredi[8].
Nel tempo, vengono organizzate diverse mostre postume, fra le quali nello stesso 1932 presso la Galleria Pesaro di Milano[9], nel 1935 alla Biennale di Venezia e al Jeu de Paume di Parigi, nel 1936 presso l'Associazione Nazionale delle Famiglie dei Caduti di Guerra di Milano, nel 1939 al Caffè Pedrocchi di Padova, nel 1953 alla Galleria Giosio di Roma e nel 1983 alla Mostra d’Arte Trevigiana.
«...Appena i pioppi sul Sile mettono le prime foglie, egli lascia Venezia e va a Quinto; d'estate sale ad Asiago. Quando è a Venezia, fugge in solitudine nelle isole più deserte che sospese fra cielo e mare trascolorano come volti ad ogni mutar della luce, o nei quartieri più lontani e più vecchi dove l'aria marina ha colorito, corroso, piegato case e alberi a modo suo, e nelle nubi in alto, nei riflessi sull'acque»
«...Egli non sa vedere il quadro che nel vero offertogli dalla natura e lo concepisce quale un assieme armonico in cui uomini, animali e cose vi entrano come elementi costitutivi di un tutto inscindibile»
Ciardi è interprete e continuatore di una pittura paesaggistica che rimanda alla tradizione veneta rinascimentale e ottocentesca (Carpaccio e Giorgione), focalizzata sulla riproduzione di dimensioni quotidiane, popolari e bucoliche, quest'ultime influenzate dalle principali opere di Giovanni Segantini, con cui viene a contatto mediante la comune frequentazione con il mercante d'arte Vittore Grubicy.
Dopo una fase giovanile ispirata dagli insegnamenti del padre Guglielmo Ciardi e dalle influenze impressioniste e divisioniste, si orienta a una pittura volta alla rappresentazione di soggetti paesaggistici naturali riprodotti en plein air, principalmente agresti (le campagne intorno a Treviso, dove risiede in periodo estivo), lagunari o montani (Altopiano di Asiago), intrisa di elementi sentimentalistici e narrativi volti a rappresentare la natura come luogo idilliaco e incontaminato, dove uomo e natura si fondono in un'unica realtà.
Questa visione, in parte tratta dagli artisti nordici che frequentano le Biennali di Venezia, suscita critiche nell'ambiente artistico veneziano dal quale è accusato di riferirsi a una tradizione obsoleta, in opposizione ai nuovi dettami imposti dalle avanguardie; Ciardi, invece, riesce a suscitare l'interesse di artisti contemporanei che gravitano intorno alle mostre artistiche trevigiane, dando vita al Fenomeno del Ciardismo, che influenza artisti veneti come Emo Mazzetti, Gino Pinelli, Rachele Tognana, Luigi Zaro.
A livello stilistico, Ciardi si distingue per la realizzazione di dipinti di piccolo formato, dove è evidente l'abilità tecnica nell’utilizzo della luce, con un cromatismo tenue, reso con rapide pennellate cariche di colore.