Amy | |
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Lingua originale | inglese |
Paese di produzione | Regno Unito |
Anno | 2015 |
Durata | 128 min |
Genere | documentario, biografico, musicale, drammatico |
Regia | Asif Kapadia |
Produttore | James Gay-Rees |
Casa di produzione | Playmaker Films, Universal Music |
Distribuzione in italiano | Nexo Digital, Good Films |
Montaggio | Chris King |
Musiche | Antonio Pinto |
Interpreti e personaggi | |
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Amy è un documentario del 2015 diretto da Asif Kapadia sulla vita della cantante Amy Winehouse, morta a soli 27 anni per abuso di alcol dopo una lunga astinenza[1].
Il film, che ha vinto l'Oscar al miglior documentario, comprende anche video ed interviste inedite alla cantautrice britannica, insieme ad alcuni brani inascoltati[2].
Un'adolescente Amy Winehouse comprende per la prima volta di avere abbastanza talento da poter lavorare come musicista: il documentario riprende alcuni momenti clou, quali la firma del contratto con la casa discografica Island Records, la gestione della carriera insieme ad alcuni amici d'infanzia, la ricerca e lo studio come cantante jazz, per riempire un vuoto che rendeva la musica di quegli anni totalmente lontana dal suo modo di concepire quest'arte. Pubblicato il suo album d'esordio Frank e ottenuti dei riconoscimenti in patria, Amy ha difficoltà nel creare un nuovo album, ma soprattutto risente di gravi problemi personali, che affondano le loro radici in un'infanzia travagliata, afflitta sia dal non aver mai superato il divorzio fra i suoi genitori, sia dalla bulimia.
In questo contesto l'artista conosce il suo futuro marito Blake ma, che questi ne fosse o meno concausa, Amy cade in un baratro di depressione ed eccessi, finché non riesce a catalizzare le sue energie sulla composizione di un secondo album, Back to Black. Composto con la collaborazione di produttori con cui non aveva lavorato precedentemente, tra cui Mark Ronson, Amy crea un lavoro che si ispira proprio alla sua vita recente: l'amore naufragato ed il suo rifiuto di lasciarsi aiutare nel superare i suoi problemi con l'alcol. Tale rifiuto viene mostrato come originato dal rapporto con suo padre: l'uomo non ritiene che Amy necessiti di riabilitazione, e la ragazza pende completamente dalle sue labbra.
Quando viene pubblicato il singolo Rehab, che riprende esplicitamente proprio tale "no", ottiene immediatamente un successo enorme: Amy si ritrova di colpo ad essere una celebrità globale, Blake torna da lei, gli impegni lavorativi si moltiplicano e fan e paparazzi le stanno sempre di più addosso. L'influenza di Blake acuisce inoltre i problemi di Amy con l'alcol e l'uomo in più la inizia al mondo della droga: se dall'esterno possono sembrare una coppia rampante e felice, all'interno l'abuso di sostanze stupefacenti crea una situazione sempre più difficile, che peggiora in seguito al loro matrimonio. La riabilitazione di coppia aiuta poco: i collaboratori di Amy temono anzi che il marito la saboti intenzionalmente perché teme che una Amy lucida non resterebbe più con lui.
L'album viene pubblicato e ottiene un successo rilevante, vince premi notevoli come 5 Grammy Awards e ottiene l'approvazione dell'idolo di Amy Tony Bennett, tuttavia i problemi privati della cantante continuano e i media si accaniscono contro di lei. A peggiorare la situazione è l'arresto di suo marito per crimini a cui lei sembra non essere legata, tuttavia i paparazzi la perseguitano sempre di più, al punto che l'artista si ritrova a doversi confinare su un'isola insieme a suo padre e la sua troupe per avere un po' di pace: proprio suo padre porta tuttavia con sé fotografi e cameraman. La casa discografica pretende che l'artista si disintossichi completamente appena prima dei Grammy, tuttavia subito dopo Amy precipita di nuovo nel baratro di alcol e droghe, riprendendosi soltanto quando Tony Bennett vuole incidere un duetto con lei.
Superato il periodo di Back to Black e archiviato l'amore con Blake, per un periodo Amy sembra tornata in sé: sta bene, vuole scrivere un terzo album, ma l'apparente benessere è cancellato quando si scopre che eccessi e bulimia hanno compromesso irrimediabilmente la sua salute e che ubriacarsi di nuovo potrebbe portarla alla morte. L'artista torna ad essere richiesta per dei concerti, ma proprio in questa occasione manda tutto all'aria, torna a bere e si rifiuta addirittura di cantare, causando l'annullamento del tour. Alla vigilia del matrimonio di Nick Shymansky, amico d'infanzia e suo primo manager, Amy viene ritrovata morta: il suo cuore non ha retto alla sua ultima ubriacatura. Neanche l'affetto dei suoi migliori amici ha potuto salvarla dagli eccessi.
Nel 2012 Universal Music ha avuto l'idea di produrre un documentario su Amy Winehouse; successivamente è stato scelto Asif Kapadia come regista.[3]
Il primo teaser trailer è stato diffuso il 2 aprile 2015[5].
La pellicola è stata proiettata al Festival di Cannes 2015 nella sezione Proiezioni speciali[6].
Il documentario è stato distribuito nelle sale cinematografiche britanniche a partire dal 3 luglio 2015[2], mentre in Italia è rimasto in sala per soli tre giorni: 15, 16 e 17 settembre dello stesso anno[7].
Il film ha incassato 23,7 milioni di dollari in tutto il mondo.[8]
Sull'aggregatore Rotten Tomatoes il film riceve il 95% delle recensioni professionali positive con un voto medio di 8,4 su 10 basato su 222 critiche,[9] mentre su Metacritic ottiene un punteggio di 85 su 100 basato su 42 critiche.[10]
La famiglia della cantante si dissocia dal documentario e ne prende le distanze. La madre della Winehouse dichiara che la pellicola «è fuorviante e contiene delle bugie: le testimonianze sono state raccolte a partire da un campione molto ristretto di conoscenti e amici di Amy, molti dei quali non hanno nemmeno preso parte agli ultimi anni della sua vita», mentre il padre della cantante dichiara: «La prima volta che l'ho visto sono stato male. Amy stessa sarebbe andata su tutte le furie: non lo avrebbe mai voluto»[37].