Paola Capriolo (Milano, 1º gennaio 1962) è una scrittrice e traduttrice italiana.
Figlia di Ettore Capriolo, collabora alle pagine culturali del Corriere della Sera[1] e svolge attività di traduttrice, soprattutto dal tedesco. Le sue opere sono tradotte e pubblicate in Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Giamaica, Vietnam, Gran Bretagna, Grecia, Lettonia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Ungheria[2].
Per le sue opere ha vinto alcuni premi letterari: il Premio Berto nel 1988, per La grande Eulalia[3] il Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice[4], e il Premio Selezione Campiello nel 1989 per Il nocchiero[5]; il Premio Grinzane Cavour per la narrativa 1992[6]; il Premio Nazionale Rhegium Julii (1998)[7] e il Premio letterario Basilicata nel 2005 per Una luce nerissima.[8]
Nel 1997 pubblica per la Bompiani il racconto lungo, d'ispirazione mitologica, Con i miei mille occhi: l’opera è un lavoro a quattro mani con il compositore Alessandro Solbiati, che si è ispirato al racconto per comporre l’opera musicale che accompagna il testo (il libro venne infatti messo in commercio con un CD audio allegato, ove è incisa anche una versione ridotta del racconto recitata da Anna Nogara).
Il critico Stefano Giovanardi[9] recensì così il romanzo La spettatrice (1995):
«...è un narratore onnisciente - e quindi saldamente ottocentesco, e quindi, volente o nolente, romantico e realista - l'autore che Paola Capriolo ha scoperto in se stessa; ed è soprattutto di questa scoperta che ha voluto dar conto ne "La spettatrice", scrivendo in definitiva più per sé che per i suoi lettori. I quali potranno anche rimanere un po' perplessi di fronte alle vertigini di quel teatrante, ma saranno certo ripagati al prossimo romanzo, quando magari si troveranno di fronte a robustissime architetture narrative, con l'autore rigorosamente occultato dietro le quinte a manovrarne trionfalmente i fili; e allora saranno forse costretti a considerare pura preistoria di una carriera letteraria ancora tutta da costruire le proiezioni metafisiche alquanto astruse, i simbolismi insistiti, le prospettive allegoriche tanto ampie quanto vaghe, che finora hanno caratterizzato ("Il nocchiero", "Il doppio regno") la produzione della loro scrittrice.»
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