Col termine iato (dal latino hiatus, "apertura") si indica un fenomeno linguistico che consiste nel dividere tra due sillabe due vocali (o meglio: due vocoidi) che altrimenti farebbero parte della stessa sillaba, vocali quindi che vengono accostate e pronunciate con due emissioni di voce.
La pronuncia tradizionale di iato è /i'ato/, trisillabo (i-à-to)[1], ma la variante bisillaba è ammessa: Ugo Foscolo scriveva il iato, Giosuè Carducci gli iati[2]; il latinista Alfonso Traìna è per la pronuncia trisillaba, Luciano Canepàri preferisce quella bisillaba /'jato/[3].
La pronuncia oggi prevalente, lo iato /lo 'jato/, non contiene iato bensì un suo opposto, il cosiddetto dittongo ascendente, la sequenza di una consonante approssimante /j/ e di una vocale /a/, al contrario della pronuncia tradizionale l'iato /li'ato/ che contiene un vero iato.
Con iato nella grammatica italiana si intendono due fenomeni letteralmente distinti.
In primo luogo, si considera tradizionalmente iato l'incontro di due vocali forti /e, ɛ, a, ɔ, o/, con l'accento sulla prima vocale; in secondo luogo si considera iato l'incontro di due vocali forti con l'accento sulla seconda, oppure l'incontro di una vocale forte con una debole la quale è però accentata (oppure ancora la sequenza /ii/).
Ogni lista ha restrizioni date all'inizio: a parte queste, non tutte le possibilità d'incontro sono attualmente realizzate nella lingua italiana; non si considerano pertinenti le parole dialettali né le interiezioni.
Questa definizione di iato è però contestata da Piero Fiorelli[4] e dallo stesso Luciano Canepari[5], i quali ritengono che solo l'ultima lista sia da considerarsi contenente veri iati: la prima e la seconda conterrebbero dittonghi a tutti gli effetti; anche nella metrica poetica, in effetti, i nessi vocalici "forti" (con l'accento sulla prima vocale) vengono solitamente considerati dittonghi, a meno che il poeta non usi la dieresi, che talvolta viene posta tipograficamente sulla prima vocale grafica.