Ottavio Leoni, Gabriello Chiabrera, 1625, incisione, Washington, National Gallery of Art.

Gabriello Chiabrera (Savona, 18 giugno 1552Savona, 14 ottobre 1638) è stato un poeta e drammaturgo italiano del Seicento.

Di famiglia aristocratica, visse a stretto contatto con la nobiltà del suo tempo e scrisse numerose opere entrate a far parte del patrimonio letterario italiano. Cantore della grecità (sebbene non conoscesse il greco) e di quello che verrà poi definito come classicismo barocco, fu spesso contrapposto al poeta Giambattista Marino, l'altro grande scrittore italiano del periodo.

Il principale teatro drammaturgico e lirico della città di Savona, il Teatro Gabriello Chiabrera, elegante edificio post-neoclassico del XIX secolo, è a lui intitolato.

Biografia

Ritratto di Gabriello Chiabrera, 1823

Nato a Savona da genitori benestanti, Gabriello riceve lo stesso nome del padre morto pochi giorni prima della sua nascita. Dalla madre, Geronima Murasana, andata a seconde nozze, viene ben presto affidato alla tutela degli zii paterni. Per volere di questi, dal 1561 studia al Collegio Romano. Poi, sempre a Roma, presso la casa di Paolo Manuzio conosce lo scrittore e critico aristotelico Sperone Speroni e il grecista francese Marc-Antoine Muret che lo indirizzano verso il gusto della poesia classica, specie greca. Sempre in quegli anni incontra forse il vecchio Torquato Tasso, venuto a Roma per far revisionare la Gerusalemme liberata dallo Speroni.

Dopo questi anni, il poeta torna a Savona dove allaccia i rapporti coi poeti Angelo Grillo e Ansaldo Cebà, con la pittrice Sofonisba Anguissola e col pittore Bernardo Castello, caro amico del giovane Giovan Battista Marino e protagonista dell'epistolario del Chiabrera. Il Chiabrera ebbe scambi epistolari anche col poeta napoletano e forse lo conobbe personalmente. Sempre a Savona anima in questi anni, assieme allo storico Giovanni Vincenzo Verzellino, l'Accademia degli Accesi che si riunisce in casa di Ambrosio Salinero che si spense nel 1613 (come ricordato nel dialogo Il Forzano stampato nel 1626).

Intanto il poeta si mette in contatto con la corte di Torino, nella persona di Carlo Emanuele I di Savoia, cui dedica nel 1582 il poema Delle guerre de' Goti (detta Gotiade, la sua prima opera stampata), la tragedia Ippodamia (stampata postuma) e il famoso poema in ottave Amedeide (iniziato nel 1590 ma stampato nel 1620 dopo 4 stesure diverse). In questi anni conosce anche Emanuele Tesauro.

Poi entra nella corte dei Medici di Firenze, che lo stipendieranno tutta la vita senza obbligo di residenza a corte. A Firenze conosce il pittore Cristofano Allori e con Giovan Battista Strozzi il Giovane, animatore dell'Accademia degli Alterati e carissimo amico. Inoltre, assieme a Jacopo Peri e a Ottavio Rinuccini, fonda il genere del melodramma con l'opera Il rapimento di Cefalo rappresentata nel 1600 alle nozze di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia. Alla casata Medici, il Chiabrera dedica anche componimenti lirici, teatrali e poemetti: si ricordi almeno il poema in ottave Firenze (1 ed. 1615; 2 ed. 1628, 3 ed. 1637).

Sempre ai primi del Seicento, il Chiabrera si lega alla corte dei Gonzaga di Mantova dalla quale verrà stipendiato tutta la vita senza obbligo di residenza. Per essa il poeta comporrà molti drammi (fra cui si ricordino almeno gli intermezzi per l'Idropica di Battista Guarini del 1605) e collabora con Alessandro Striggio e Claudio Monteverdi in varie pièces. Compone in questi anni anche la tragedia Angelica in Ebuda (1615) di ispirazione ariostesca.

Come risulta dall'epistolario, nel 1615 forse Chiabrera conosce Galileo Galilei e interrompe malamente, intanto, i rapporti col ricco nobile genovese Giovanni Vincenzo Imperiale, autore del celebre poema didascalico Lo stato rustico (3 edizioni, 1606, 1611, 1613) che era stato osannato nel dialogo Vecchietti.

Ma il vero apice della carriera del Chiabrera viene toccato dopo il 1623 con l'elezione al soglio pontificio del vecchio amico di studi Maffeo Barberini, Papa Urbano VIII. Il quale, intento a dare al papato una nuova linea culturale, per prima cosa pone all'Indice l'Adone, lasciando così sgombro il campo ad intellettuali di formazione gesuitica e classica come appunto Chiabrera, Fulvio Testi, Agostino Mascardi, Famiano Strada, Virginio Cesarini, Giovanni Ciampoli, Pietro Sforza Pallavicino, Virgilio Malvezzi (oltre che Urbano VIII stesso, autore di poesie di gusto classico venate di stoicismo). Questa linea culturale di stampo moralista verrà riconfermata dal papato nel 1632-33 con l'abiura del Galilei e l'allontanamento del Ciàmpoli dalla corte romana. In questi anni il Chiabrera compone i due dialoghi Orzalesi e Geri (ambientati intorno al Giubileo del 1625), le Canzoni per Urbano VIII, di stampo pindarico, e il poemetto Le feste dell'anno cristiano, entrambi del 1628.

Dopo i lavori del 1628, il poeta si ritira in Liguria dove entra nell'Accademia degli Addormentati di Genova. Qui funge da protettore a Pier Giuseppe Giustiniani e ad Anton Giulio Brignole Sale, principi dell'Accademia nel 1630 e nel 1636, dei quali il Chiabrera era stato mèntore fin dall'adolescenza. In questi anni, inoltre, il Chiabrera legge all'Accademia sette Discorsi (1629, due dei quali dedicati al Giustiniani) e compone ancora molte opere, quasi tutte stampate post mortem: il poema in sciolti Ruggiero e il poemetto Foresto (stampati nel 1653), le liriche bacchiche e sperimentali dei Sollazzi (composte nel 1635-36), molti poemetti, la famosa Vita (composta nel 1633-38), nonché numerose prose dedicate al patriziato genovese stampate intorno agli anni Trenta; accorcia, inoltre, l'Amedeide riportandola alle dimensioni della prima stesura (detta Amedeide minor) e rielabora per la terza volta il poema Firenze.

Dalla descrizione che egli stesso diede di sé nella Vita apprendiamo che era di media statura, "di pelo castagno", affetto da lieve miopia ("vedea poco da lunge, ma altri non se n'avvedeva"), frugale nell'alimentazione e poco propenso a perdere ore di sonno (ritratto di perfetto stile oraziano...). Sempre nella Vita, dopo aver ricordato il suo tirocinio romano presso Speroni e Muret, dichiara di avere avuto come maestri Omero, Virgilio, Dante Alighieri e Lodovico Ariosto, e ammette di trovare la poesia italiana povera e di aver avuto come massimo obiettivo di arricchirla, come un Galileo Galilei o un Cristoforo Colombo, di nuove strutture ritmiche e musicali.

Tali strutture metriche, a loro volta, non sono nuove in senso assoluto, ma imitano i metri di tradizione classica, soprattutto greca, sicché la novità non è altro che un ritorno al classicismo antico dopo quello moderno del Rinascimento, cioè il Petrarca. In sostanza: per rinnovare l'ormai stanco classicismo rinascimentale, il poeta non lo dissolve (come spesso accade nella poesia mariniana), ma si richiama a un altro classicismo, d'antica foggia, che permette di rinnovare la tradizione moderna attraverso quella antica così da non uscire mai dall'alveo della tradizione.

Trascorse la vecchiaia prevalentemente nella villa del borgo rurale savonese di Légino, il Musarum opibus, dove erano le sue ville, fra cui la famosa Siracusa ricordata nel dialogo Forzano. Il suo sepolcro si trova all'interno della chiesa di San Giacomo a Savona.

La riforma metrica della poesia italiana

Gran parte dell'attività poetica del Chiabrera nasce, come specificato nella Vita, dalla volontà di arricchire la poesia italiana di metri e di forme nuove rispetto al canone petrarchista del Cinquecento ma, più in generale, rispetto a tutti i generi ereditati dal Cinquecento. La formazione del Chiabrera, infatti, si è sviluppata nelle mani di Sperone Speroni e di Marc-Antoine Muret, due tipici esponenti della cultura antibembesca del primo Rinascimento. I quali volevano imitare nella metrica la poesia classica greca e latina, e nella lingua prediligevano un volgare non strettamente petrarchesco. II Chiabrera riprende questi insegnamenti e le forme metriche da lui inventate saranno imprescindibili per gli sviluppi della futura poesia italiana venendosi ad affiancare a quelle già consacrate dal Rinascimento (l'ottava nel romanzo e nell'epica; il sonetto e la canzone petrarcheschi nella lirica).

L'endecasillabo sciolto nei poemi narrativi

Gran parte della ''rivoluzione metrica classicista'' operata del Chiabrera persegue innanzitutto l'uso del verso sciolto nei poemi epici al posto dell'ottava ariostesca e tassiana. L'endecasillabo sciolto era stato inventato nel Cinquecento dal Trissino per emulare l'esametro classico e, sebbene fosse destinato a divenire uno dei metri principali della tradizione italiana, al momento della sua invenzione (1524 la Sofonisba, 1547 L'Italia liberata) fu considerato stilisticamente basso e come tale adatto al teatro ma non per i poemi epici, a meno che non fossero traduzioni come quella di Annibale Caro. Il Chiabrera, invece, si impegnò a fondo nel processo di nobilitazione del verso sciolto e contribuì a trasformarlo in uno dei metri più importanti della poesia italiana.

La lirica

Anche il genere lirico fu sottoposto dal Chiabrera a una rivisitazione sul modello delle forme metriche greche e latine, fin dal primo libro di poesie, stampato nel 1583, vivente ancora il Tasso, nel quale è già chiaro il modello classico (l'evocazione di un mito antico al centro dell'ode come negli epinici pindarici, ad esempio). Questi circa 500 componimenti hanno, inoltre, quasi tutti un metro diverso, il che testimonia una capacità inventiva sbalorditiva e una conoscenza raffinata del profilo ritmico-musicale della poesia e della lingua italiane. Anche qui l'appoggio a tali sperimentazioni è trovato nella Poetica del Trissino, citata nella dedica di Lorenzo Fabri alle famose Maniere de' versi toscani, e ribadita più tardi nei dialoghi dell'Orzalesi e del Geri. Oltre al Trissino e agli autori primo cinquecenteschi, l'altro punto di riferimento essenziale è qui Pierre de Ronsard, che il Chiabrera però non cita mai ma che ben conosceva, visto che il Muret era stato un famoso commentatore dei suoi Amours. Come noto, almeno nella prima fase della produzione lirica, il Chiabrera traduce di peso spesso Ronsard, la cui influenza sarà forte anche nei Poemetti tardi.

La poesia lirica del Chiabrera si può dividere per argomenti in tre grandi aree: la poesia bacchica ed erotica, le canzonette meliche, le odi.

«Aure serene e chiare
spirano dolcemente,
e l'alba in oriente
ricca di gigli e di viole appare.
Sulla sponda romita
lungo il bel rio di questa riva erbosa,
o Filli, a bere invita
ostro vivo di fragola odorosa.
Fra le mie tazze più care
reca la più diletta,
quella dove saetta
Amor sopra un delfin gli dèi del mare.»

Il teatro

La produzione teatrale del Chiabrera comprende tre generi: il melodramma, la tragedia e il dramma pastorale.

Il lessico

Anche nel lessico il poeta si mostra un innovatore, dietro le teorie esposte nel dialogo Bamberini. Partendo dal Petrarca, il poeta si apre non solo ai neologismi, ma anche a moltissimi grecismi e latinismi fino a creare dei composti sul modello della lingua greca (oricrinito, ad esempio, ricordato nella Vita o chiomazzurro e simili). Lo stesso si dica per la sintassi, che il poeta modella su quella latina.

Lo stile

Per quel che riguarda il metaforismo, che in genere contraddistingue la poesia secentesca, il Chiabrera si mostra molto parco. Egli, specie nelle descrizioni delle bellezze muliebri, amplia ovviamente il campionario delle metafore tradizionali e, oltre al Petrarca, segue a volte la tradizione quattrocentesca (cassata dal Bembo), ma in genere è lontano dagli eccessi metaforici tipici della poesia coeva ed è concentrato sulla sintassi, le rime rare, le parole preziose. Per questo per lungo tempo il Chiabrera è stato considerato un autore non barocco ma classico, e non un classicista barocco, ma invero anche questo genere di poesia è animata dallo stesso gusto del Marino per il raro, il nuovo, il prezioso e il bizzarro.

Opere

Delle opere di Gabriello Chiabrera, 1757

L'esordio letterario di Chiabrera avvenne nel 1582 col poema Delle guerre de' Goti (o Gotiade) dedicato a Carlo Emanuele I di Savoia.

Lirica e poemetti

Teatro

Poemi epici

Sono essenzialmente quattro, ma invero ne sono di più poiché l'Amedeide ha due stesure (la maior e la minor) come anche il Ruggiero (una a stampa ed una manoscritta), mentre il Firenze ne ha tre (una in ottave e due in selve):

Sermoni

Prose

Edite quasi tutte postume, furono in gran parte composte durante gli anni Trenta del Seicento. Si ricordano almeno:

Omaggi

Bibliografia

Sull'autore in generale:

Le edizioni più recenti dei testi principali:

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