L'enantiosemia (dal greco ἐναντίος, enantíos, 'contrario', e σῆμα, sḗma, 'segno',[1] sul modello del composto neoclassico ἐναντιόσημα, enantiósēma) è la caratteristica di una locuzione (in genere di singole parole, ma anche di sintagmi o morfemi) di avere due significati opposti.[2] Si tratta di una forma di polisemia. Non va confusa con l'antonimia.[2]

Origine

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I grammatici arabi si erano occupati del tema sin dal IX secolo[3] e chiamavano questi termini ad'dâd (plurale di d'idd).[4][5] Alcuni filologi rinascimentali, come Giulio Cesare Scaligero (1484-1558),[6] ne avevano rilevato la presenza nelle lingue classiche: in latino, ad esempio, obesus significa sia 'grasso' sia 'magro'; il termine era già stato esaminato da Aulo Gellio (II secolo d.C.)[7] e da Nonio Marcello (IV secolo d.C.).[8][2]

Sembra che il termine ἐναντιόσημα sia stato introdotto nel 1655 dal teologo e orientalista inglese Edward Pococke (1604-1691)[9] per indicare parole di significato opposto rintracciate in diverse lingue da lui studiate (ebraico, aramaico e arabo).[2]

Il tema appassionò i romantici tedeschi, in particolare Franz von Baader e Johann Arnold Kanne. Georg Hegel notò che un verbo fondamentale per la dialettica, Aufheben, era usato in tedesco con i due significati opposti di 'conservare' e 'togliere'.[2]

L'enantiosemia venne poi studiata dall'egittologo Carl Abel (1837-1906) nel suo Über den Gegensinn der Urworte ('Sul significato opposto delle parole primordiali'), pubblicato a Lipsia nel 1884.[10] Il testo venne poi ripreso da Sigmund Freud con una pubblicazione dallo stesso titolo (1910).[11] Per Freud, l'esistenza di significati opposti in una stessa parola era una conferma delle sue teorie sulla natura dell'inconscio. Gli esempi che Freud riprese da Abel furono aspramente criticati dal linguista francese Émile Benveniste,[12] ma l'ipotesi di Freud non smise di affascinare gli studiosi.[2]

Esempi in italiano

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In italiano vi sono diversi casi di enantiosemia relativa ai vocaboli. Per fare qualche esempio:[13]

Note

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  1. ^ Giuseppe Aldo Rossi, Le parole: vita, morte e miracoli, Mondadori, 1993, p. 114.
  2. ^ a b c d e f Beccaria, pp. 273-274.
  3. ^ Vedere Ramzi Baalbaki, The Arabic Lexicographical Tradition: From the 2nd/8th to the 12th/18th Century, Leiden, Brill, 2014, capitolo 2, § 7, "al-Aḍdād (Words with Two Contradictory Meanings", pp. 188-198.
  4. ^ Georges Bohas, Karim Bachmar, L'énantiosémie dans le lexique de l'arabe classique Lovanio, Peeters, 2017.
  5. ^ William Epson osserva: "In effetti, l'arabo è un caso eclatante della raffinatezza mentale richiesta per usare una parola che copre il proprio opposto, perché, sebbene possieda molte di queste parole, esse sono di origine tarda e sono state elaborate come un abbellimento letterario." Seven Types of Ambiguity, [1930] seconda edizione riveduta, Londra, Chatto & Windus, 1947, p. 195 (il VII capitolo, pp. 192-233, è dedicato alle parole con significati opposti).
  6. ^ Nel De causis linguae latinae (1584), capitolo "Utrum dictiones a natura sint, an arbitrio inventoris".
  7. ^ Aulo Gellio, Noctes Atticae, XIX, 7, 3.
  8. ^ Nonius Marcellus, De compendiosa doctrina, IV, ad vocem (Mueller I 1888, p. 586).
  9. ^ Nella Porta Mosis, una traduzione di sei sezioni del commento alla Mishnah di Maimonide.
  10. ^ Nello stesso anno Vikentij Ivanovič Šercl' (1843-1906) pubblica il saggio (in russo) O slovax s protivopoložnymi znače-nijami (Sulle parole dai sensi opposti) in cui cita l'esempio del termine latino altus che significa alto e profondo ed osserva che "più la lingua è antica ed il popolo primitivo, più si vede questo fenomeno [l'enantiosemia]" (citato in: Ekaterina Velmezova, Les lois du sens: la sémantique marriste, Berna, Peter Lang, 2007, p. 170).
  11. ^ Tr. it. in S. Freud, Opere, Vol. VI, 1909-1912 Casi clinici e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1974.
  12. ^ Nel saggio "Remarques sur la fonction du langage dans la découverte freudienne", La Psychanalise, I, 1956, ristampato in Problèmes de linguistique générale I, Parigi, Gallimard, 1966, pp. 75-87.
  13. ^ Gli esempi sono tratti da Beccaria, pp. 273-274, da Mortara Garavelli, p. 180 e da Clara Ferranti, Analisi semantica interlessemica, unimc.it, p. 2.

Bibliografia

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Voci correlate

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