La digitale rossa (nome scientifico Digitalis purpureaL., 1753) è una pianta erbacea e perenne dai grandi fiori purpurei, appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae (Scrophulariaceae).[1]
Il primo studioso ad introdurre il nome del genere (Digitalis) fu il botanico e fisico germanico Leonhart Fuchs (17 gennaio 1501 – 10 maggio 1566); il termine significa "ditale" e indubbiamente il fiore ricorda questo utile oggetto. In seguito fu il botanico francese Joseph Pitton de Tournefort a elevare questo termine a valore di genere e infine fu Carl von Linné a completarlo con una dozzina di specie.[2] Il termine specifico purpurea[3] è parola latina che indica il colore della porpora.
Si tratta di una pianta mediamente alta (da 3 dm fino a 1,5 metri) la cui forma biologica è emicriptofita scaposa (H scap), ossia è una pianta perennante (o con ciclo biologico bienne; il fusto fiorito si sviluppa il secondo anno) con gemme situate alla base del terreno e con fusti a infiorescenza terminale.[2][6][7][8][9][10][11]
Tutte le foglie sono ricoperte da nervature reticolate e crenate sui bordi. Sono bianco-tomentose sulla pagina inferiore; mentre quella superiore è colorata di verde scuro. Le foglie si dividono in:
foglie basali: le foglie basali, raccolte in rosette, sono semplici con una forma da ovale o oblunga-ellittica a lineare-spatolata, acute all'apice e picciolo strettamente alato; dimensione delle foglie basali: larghezza 2 – 3 cm; lunghezza 12 - 15 cm;
foglie cauline: le foglie cauline sono lanceolate, progressivamente ridotte e sessili; lungo il fusto la disposizione è spiralata.
L'infiorescenza è formata da un racemo allungato, terminale e bratteale (alla base di ogni pedicello è presente una brattea). Generalmente i fiori hanno una disposizione unilaterale causata dalla torsione dei pedicelli. I singoli fiori sono inoltre penduli, questo per proteggere il polline e il nettare dalla pioggia. Lunghezza del racemo: 2 - 5 dm. Lunghezza dei pedicelli : 10 – 15 mm).
Formula fiorale. Per la famiglia di queste piante viene indicata la seguente formula fiorale:
X o * K (4-5), [C (4) o (2+3), A 2+2 o 2], G (2), capsula.[7]
Calice: il calice (gamosepalo) è diviso profondamente in cinque lobi ovati e acuti; le divisioni arrivano fin quasi alla base del calice stesso. Dimensione dei lobi: larghezza 7 mm; lunghezza 11 mm.
Corolla: la corolla è simpetala a forma sub-campanulata con fauci oblique e colore rosso porporino chiazzata di bianco (esistono varietà in cui il fiore è rosa, giallo o bianco); nella zona dell'ovario è lievemente contratta e prende una forma più tubolare (è la parte che contiene il nettare). La corolla termina in cinque lobi non molto incisi; quello superiore è ricurvo, dentellato e più corto; mentre quello inferiore è più lungo (5 mm) degli altri (per questo può essere considerata debolmente bilabiata). La corolla nella parte interna sono presenti delle setole pelose. Dimensioni del tubo: diametro 1 - 1,5 cm; lunghezza 3 cm.
Androceo: gli stami sono cinque e sono inclusi nella campana corollina.
Gineceo: lo stilo è unico con stimma bilobo su un ovariosupero formato da due carpelli (ovario sincarpellare). Sotto l'ovario è posto l'anello nettarifero.
Il frutto è del tipo a capsula prolungata in un becco acuto e dall'aspetto peloso-glandoloso. All'interno sono disposte due logge a deiscenza “septicida” (ossia è un frutto che si apre per fenditure longitudinali): vengono così dispersi al vento un gran numero di piccolissimi semi (0.1-0.2 mm). La forma dei semi è angolosa. Nella fruttificazione inoltre il calice è persistente.
Riproduzione: la fecondazione avviene fondamentalmente tramite l'impollinazione dei fiori (vedi sopra).
Dispersione: i semi cadendo a terra (dopo essere stati trasportati per alcuni metri dal vento – disseminazione anemocora) sono successivamente dispersi soprattutto da insetti tipo formiche (disseminazione mirmecoria).
Habitat: l'habitat tipico sono le radure boschive, i pascoli montani, i tagli rasi forestali, le strade forestali e le aree incendiate. Il substrato preferito è siliceo con pH acido, alti valori nutrizionali del terreno che deve essere mediamente umido.[13]
Distribuzione altitudinale: sui rilievi queste piante si possono trovare da 500 fino a 1.700 ms.l.m.; frequentano quindi i seguenti piani vegetazionali: collinare e montano.
Per l'areale completo italiano Digitalis purpurea appartiene alla seguente comunità vegetale:[15]
Macrotipologia: vegetazione erbacea sinantropica, ruderale e megaforbieti
Classe: Epilobietea angustifolii Tüxen & Preising ex Von Rochow, 1951
Ordine: Atropetalia belladonnae Vlieger, 1937
Alleanza: Epilobion angustifolii Tuxen ex Eggler, 1952
Descrizione: l'alleanza Epilobion angustifolii è relativa alle comunità di megaforbie (vegetazione erbacea perenne con macrofite di grossa taglia) su suoli acidi e ricchi di sostanze organiche (ben nitrificati). Questa cenosi si sviluppa lungo i margini stradali, ma anche ai margini o nelle radure delle foreste decidue o di conifere. La distribuzione dell'alleanza è eurosiberiana.[15]
La famiglia di appartenenza (Plantaginaceae) è relativamente numerosa con un centinaio di generi, mentre il genere della Digitalis comprende una ventina di specie di cui mezza dozzina sono presenti nella flora spontanea italiana.
L'uso di estratti della Digitalis purpurea per il trattamento dello scompenso cardiaco fu descritto per la prima volta da William Withering.
Le foglie di questa pianta contengono infatti alcuni glicosidi farmacologicamente attivi (digitossina e digossina) che hanno potenti effetti sul cuore: aumentano la forza di contrazione del muscolo cardiaco (effetto inotropo positivo) ed hanno proprietà antiaritmiche. Sono principalmente indicati nella terapia dell'insufficienza cardiaca; tuttavia le stesse sostanze, se assunte in dosi eccessive, possono causare seri problemi, quali aritmie e blocchi cardiaci, talora letali. È inserita nell'elenco delle piante officinali spontanee soggette alle disposizioni della legge 6 gennaio 1931 n. 99.
La digitale è un classico esempio di farmaco derivato da una pianta usata un tempo come rimedio dalla medicina popolare: in erboristica si è ormai abbandonato il suo uso a causa del suo basso indice terapeutico e della difficoltà nel determinare la dose attiva. Inizialmente, una volta accertata l'utilità della digitale nel regolarizzare il polso, la pianta venne impiegata per curare un gran numero di patologie, compresa l'epilessia e altri disturbi convulsivi. Ora per queste indicazioni l'uso della digitale è considerato inadeguato.
Come altri glicosidi cardiaci, i principi attivi della Digitalis esercitano la loro azione inibendo la attività della ATPasi sodio-potassio. L'inibizione della Na+/K+-ATPasi a sua volta causa un aumento non solo del Na+ intracellulare, ma anche del calcio, che a sua volta produce un aumento della forza di contrazione del muscolo cardiaco. In altre parole, al giusto dosaggio, la tossina della Digitalis può far aumentare la frazione di eiezione cardiaca.
Tuttavia, digitossina, digossina e molti altri glicosidi cardioattivi, come la ouabaina, sono conosciuti perché sono in grado di rendere ripide le curve di risposta al dosaggio, cioè un leggero aumento nel dosaggio di queste sostanze può fare la differenza tra una dose innocua e una fatale.
Ha anche un effetto vagale sul sistema nervoso parasimpatico, e come tale è usata nell'aritmia cardiaca rientrante e per rallentare la velocità ventricolare durante la fibrillazione atriale.
L'intossicazione da digitale derivante da sovradosaggio può manifestarsi con una visione in itterico (giallo) e con la comparsa di contorni confusi (aloni), e bradicardia; i sintomi comprendono inoltre nausea e vomito. La possibile insorgenza di blocco atrio-ventricolare può condurre ad arresto cardiaco e morte.
I vari botanici si sono chiesti l'utilità delle macchie e delle setole pelose all'interno della corolla. Probabilmente le macchie hanno una funzione di guida alla ricerca del nettare da parte degli insetti pronubi; mentre la presenza delle setole pelose non trova tutti concordi in una univoca spiegazione (c'è chi dice che servano a tenere lontani certi insetti troppo piccoli, o chi al contrario che le setole servano come punto di appoggio).[2]
La Digitale purpurea è una celebre poesia di Giovanni Pascoli, basata sul racconto della sorella Maria relativo alla presenza di questa specie vegetale presso l'istituto di suore che la ospitava, a Sogliano al Rubicone.
D. C. Albach, H. M. Meudt and B. Oxelman, Piecing together the “new” Plantaginaceae, in American Journal of Botany, vol. 92, n. 2, 2005, pp. 297-315 (archiviato dall'url originale il 30 novembre 2016).
F.Conti, G. Abbate, A.Alessandrini, C.Blasi, An annotated checklist of the Italian Vascular Flora, Roma, Palombi Editore, 2005, ISBN 88-7621-458-5.