Communalia è il termine, derivato dalle espressioni usate nei documenti medioevali in Italia, indicante i terreni sui quali ogni componente di una determinata comunità, secondo regole tramandate da secoli, aveva il diritto di esercitare un godimento, come quello del pascolo, della coltivazione o dell'uso civico di legnatico.

Storia

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Nell'Italia meridionale il feudo è una istituzione relativamente tardiva, introdotta dai Normanni e dagli Svevi, che ebbero l'accortezza di non comprimere gli antichi diritti collettivi delle popolazioni originarie del luogo. Nell'Italia settentrionale si sentiva, invece, il modello tedesco della proprietà collettiva della gens sui terreni con un istituto misto tra il demanio e la proprietà collettiva, ma disgiunta da vincoli feudali.

Con l'illuminismo, tuttavia si avviò un processo di eliminazione delle proprietà collettive, sentite come un istituto tipico di quando la popolazione era scarsa e la terra abbondante. La spinta di una emergente borghesia agraria che mirava ad uno sfruttamento più moderno e razionale dei terreni agricoli, aveva spinto in questa direzione.

L'uso attuale

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I non molti istituti che sono sopravvissuti di proprietà collettive che si denominano tuttora comunalia vedono la loro collocazione con una certa fatica nell'ambito del diritto moderno, tutto basato sulla proprietà. Una interessante sentenza della Corte Costituzionale[2] ha negato l'incostituzionalità della norma che assoggettava ad imposta i communalia a differenza dei demani comunali, sottolineando, perciò la differenza tra i due istituti.

Note

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  1. ^ Il termine tradizionale per indicare i beneficiari di una comunione era comunisti.
  2. ^ Sentenza n. 526 del 1987 della Corte costituzionale

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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