Ara Pacis | |
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Civiltà | civiltà romana |
Stile | architettura romana |
Epoca | I secolo a.C. |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Comune | Roma |
Amministrazione | |
Patrimonio | Centro storico di Roma |
Ente | Sovrintendenza capitolina ai beni culturali |
Responsabile | Maria Vittoria Marini Clarelli |
Visitabile | Sì |
Mappa di localizzazione | |
L'Ara Pacis Augustae (Altare della pace di Augusto) è un antico altare fatto costruire a Roma nel 9 a.C. dal senato, dedicato alla Pace[1] (in latino Pax, nell'accezione di divinità) inaugurato dall'imperatore Augusto.
Originariamente posto in una zona del Campo Marzio consacrata alla celebrazione delle vittorie, il luogo era emblematico perché situato a un miglio romano (1.472 m) dal pomerium, limite della città dove il console, di ritorno da una spedizione militare, perdeva i poteri ad essa relativi (imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili (imperium domi).
Questo monumento rappresenta una delle più significative testimonianze pervenuteci dell'arte augustea e intende simboleggiare la pace e la prosperità raggiunte come risultato della Pax Romana.
«Cum ex Hispania Galliaque, rebus in iis provincis prospere gestis, Romam redi Ti. Nerone P. Quintilio consulibus, ~ aram Pacis Augustae senatus proreditu meo consacrandam censuit ad campum Martium, in qua magistratus et sacerdotes et virgines Vestales anniversarium sacrificium facere decrevit.»
«Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia [...] compiute felicemente le imprese in quelle provincie, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l'ara della Pace Augusta presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale.»
Il 4 luglio del 13 a.C. il Senato decise di costruire un altare dedicato a tale raggiungimento in occasione del ritorno di Augusto da una spedizione pacificatrice di tre anni in Spagna e nella Gallia meridionale.
La dedica, cioè la cerimonia di consacrazione solenne, non ebbe però luogo fino al 30 gennaio del 9 a.C., data importante perché compleanno di Livia, moglie di Augusto.
Il monumento era collocato con un'entrata sull'antica via Flaminia e una verso il Campo Marzio.
Essendo stata edificata a poche centinaia di metri dal fiume Tevere (non dove sorge attualmente, ma dove si trova adesso Palazzo Fiano-Peretti-Almagià), l'Ara Pacis fu fin da subito, già nel II secolo d.C., soggetta a danni causati dall'acqua e dall'umidità, tanto che ben presto molte sue parti risultarono rotte o separate dal corpo principale; il livello del terreno nella zona si alzò notevolmente a causa dell'apporto di materiale da parte del vicino fiume, e l'ara dovette essere circondata da un muro di mattoni per proteggerla dall'assalto del limo e della sabbia, poiché ormai già sporgeva dal terreno solo a partire dai fregi figurati.
Venne quindi nominata una Commissione che studiasse sul Piano Regolatore e sul posto la possibilità di sistemazione dell'Ara. Nella seduta del 19 giugno 1944 l'architetto Marcello Piacentini riferì sulle conclusioni cui la Commissione era pervenuta: spostare il monumento verso l'Accademia di Belle Arti, onde permettere uno spazio di 6 metri intorno al monumento; costruire sul lato verso la chiesa di San Rocco un edificio destinato a museo che, verso il Lungotevere, doveva essere fronteggiato da un giardino; costruire un portico nella facciata verso il giardino. Fu deciso di affidare lo studio del nuovo progetto allo stesso architetto Morpurgo, già autore dell'attuale sistemazione.
L'aspetto dell'Ara Pacis è stato ricostruito grazie alla testimonianza delle fonti, agli studi durante gli scavi e alle raffigurazioni su alcune monete romane.
L'Ara Pacis è costituita da un recinto quasi quadrato in marmo (11,65 x 10,62 x h 3,68 m), elevato su basso podio, nei lati minori del quale si aprivano due porte, larghe 3,60 metri; a quella anteriore si accede da una rampa di nove gradini; all'interno, sopra una gradinata, si erge l'altare vero e proprio. La superficie del recinto presenta una raffinata decorazione a rilievo, esterno e interno. Nelle scene la profondità dello spazio è ottenuta mediante differenti spessori delle figure.
Quattro pilastri (detti paraste) angolari corinzi, più altri quattro ai fianchi delle porte, sono decorati sull'esterno da motivi a candelabra e lisci all'interno. Essi sostengono l'architrave (interamente ricostruita, senza parti antiche) che, secondo le raffigurazioni monetarie, doveva essere coronata da acroteri laterali.
L'Ara Pacis è un monumento chiave nell'arte pubblica augustea, con motivi di origine diversa: l'arte greca classica (nei fregi delle processioni), l'arte ellenistica (nel fregio e nei pannelli), l'arte più strettamente "romana" (nel fregio dell'altare). L'aspetto era quindi eclettico e la realizzazione fu certamente opera di botteghe greche.
L'aspetto politico-propagandistico è notevole, come in molte opere dell'epoca, con i legami evidenti tra Augusto e la Pax, espressa come un rifiorire della terra sotto il dominio universale romano. Inoltre è esplicito il collegamento tra Enea, mitico progenitore della Gens Iulia, e Augusto stesso, secondo quella propaganda di continuità storica che voleva inquadrare la presa di potere dell'imperatore come un provvidenziale ricollegamento tra la storia di Roma e la storia del mondo allora conosciuto. Non a caso i Cesari Gaio e Lucio sono abbigliati come giovanetti troiani, così come è illuminante l'accostamento tra il trionfo di Roma e la Saturnia Tellus, l'età dell'oro.
L'esterno dell'altare è decorato da un fregio figurato in alto e da elaborati girali d'acanto in basso; i due ordini sono separati da una fascia a meandro; queste fasce decorate si interrompono quando incontrano i pilastri per poi proseguire sugli altri lati.
Nella parte bassa si ha un'ornamentazione naturalistica di girali d'acanto e, tra essi, piccoli animali (per esempio lucertole e serpenti). I girali si dipartono in maniera simmetrica da un unico cespo che si trova al centro di ogni pannello. Possiamo notare un'eleganza e una finezza d'esecuzione che riconducono all'arte alessandrina. La natura viene infatti vista come un bene perduto, secondo uno dei temi della poesia di quel tempo: basti pensare a Virgilio e Orazio.
La fascia figurata si divide in quattro pannelli sui lati delle aperture (due per lato) e un fregio continuo con processione-assemblea sui lati lunghi, che va letto unitariamente come un'unica scena.
I due pannelli figurati del lato principale, dal quale si accedeva all'altare, rappresentano il Lupercale e il Sacrificio di Enea ai Penati.
Di questa scena (posta a sinistra) restano solo pochi frammenti, ma che comunque permettono di ricostruire la mitica fondazione di Roma: vi si riconosce il dio Marte armato, padre dei gemelli Romolo e Remo e divinità protettrice dell'Urbe, e il pastore Faustolo; essi assistono, presso il Ficus ruminalis, all'allattamento dei gemelli da parte della lupa, tra i resti di piante palustri che caratterizzano lo sfondo.
A destra si trova il Sacrificio di Enea ai Penati. Vi si riconosce Enea, in quanto figlio di Venere (ma alcuni sostengono Numa Pompilio), col figlio Ascanio o Augusto (ritenuto discendente di Venere) presso un altare rustico, assistiti da due giovani camilli. L'altare è avvolto da festoni e vi vengono sacrificati primizie e la scrofa bianca di Laurento. Il sacrificio è destinato ai Penati (protettori) di Lavinio, che presenziano alla scena affacciandosi da un tempietto sulla roccia, posto sullo sfondo in alto a sinistra. Enea ha il capo velato e veste un mantello che gli lascia scoperto parte del busto atletico. In mano reca lo sceptrum. Ascanio è dietro di lui (secondo alcuni potrebbe essere anche Acate) e ci è pervenuto solo nel frammento della mano destra appoggiata a una lancia e di una parte delle vesti, all'orientale.
Sull'altro lato si trovano i rilievi della Personificazione di Roma, quasi completamente perduto, e della Saturnia tellus.
Questo rilievo, pervenutoci in resti molto scarsi, permette di riconoscere sulla destra solo una personificazione di Roma in abito amazzonico seduta su una catasta d'armi.
Lo stesso argomento in dettaglio: Saturnia tellus (Ara Pacis).
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Questo pannello è uno dei meglio conservati, pervenutoci praticamente integro. Si tratta di una complessa allegoria di una mitica terra dell'Età dell'oro. Il rilievo rappresenta una grande figura matronale seduta con in grembo due putti e alcune primizie. Ai lati si trovano due ninfe seminude, una seduta su un cigno in volo, simbolo dell'aria, e l'altra su un drago marino, simbolo del mare; questi due animali predominanti riecheggerebbero la serenità della pace, cioè terra marique: la pace in terra e in mare. Anche il paesaggio ha elementi allegorici: a sinistra è fluviale, con canne e un'oinochoe dal quale fluisce l'acqua, al centro è roccioso con fiori e animali (una giovenca accasciata e una pecora che pascola), mentre a destra è marino. L'interpretazione della scena non è univoca: la figura centrale potrebbe essere una Venere Genitrice o una personificazione dell'Italia, o forse ancora della Pax: forse queste interpretazioni erano fuse in un'ideologia ambivalente della Pax Romana dell'epoca di Augusto. D'altronde non è da escludere la presenza di Venere, che farebbe coppia col rilievo della personificazione di Roma, i cui culti saranno poi accoppiati.
Sui lati lunghi è raffigurata la processione per il voto dell'Ara, divisa in due parti: una ufficiale, coi sacerdoti, e l'altra semiufficiale con la famiglia di Augusto. La lettura va concepita unitariamente, con quattro sezioni: metà di quella ufficiale e metà di quella semiufficiale per lato, in maniera da facilitare la concezione unitaria del fregio. Ma se le due scene della processione ufficiale sono una il seguito dell'altra, le due scene della famiglia imperiale vanno considerate come una accanto all'altra.
Sebbene l'identificazione dei personaggi non sia indiscutibilmente certa, è ormai generalmente accettata. L'insieme rievoca le Panatenee del fregio continuo del Partenone di Atene. In ogni caso la scena non va interpretata come un reale corteo, così come potrebbe essere avvenuto nel 13 a.C., poiché Augusto sarebbe diventato pontefice massimo solo nel 12 a.C., né può essere la processione del 9 a.C., perché allora Agrippa era già morto mentre Tiberio e Druso erano impegnati nelle campagne militari in Illirico e in Germania. Si tratta quindi di una raffigurazione politica ideale, da mettere in relazione con le gravi incertezze di quegli anni legate alla successione, che troveranno una temporanea soluzione nel 6 a.C. con la crisi e l'esilio volontario di Tiberio.
La scena più importante e meglio conservata è sul fianco meridionale,[59] con personaggi della famiglia imperiale. La successione delle figure ricalca un preciso schema protocollare, legato alla successione al trono come era concepita da Augusto attorno al 10-9 a.C. Anche la divisione in primo e secondo piano delle figure (piani che diventano enfaticamente tre nella raffigurazione della famiglia di Augusto e Livia) non è casuale.
La processione ha inizio con la raffigurazione lacunosa di littori (secondo la tradizione dodici), un camillo che porta la cassetta sacra del collegio pontificale (l'acerra) e il lictor proximus, che cammina all'indietro: egli secondo la tradizione infatti non volge le spalle al magistrato e al sommo sacerdote.
Seguono quindi una serie di togati, a partire dall'imperatore Augusto col capo velato nella veste di pontefice massimo. Chiudono il corteo ufficiale, in primo piano, i quattro flamines maiores (dialis, martialis, quirinalis e iulialis). Il Flamen iulialis è quello dotato di una vera e propria fisionomia, questo perché era un vero parente di Augusto, Sesto Appuleio. L'ultimo personaggio religioso è il flaminius lictor, con il capo coperto e l'ascia sacra sulla spalla.
A questo punto, dopo un netto stacco, inizia la processione della famiglia imperiale, coi personaggi disposti secondo la linea dinastica all'epoca della costruzione dell'altare.
Per primo si trova Agrippa, morto nel 12 a.C., pure col capo coperto, posto di profilo; seguono il piccolo Gaio Cesare (nipote e figlio adottivo di Augusto), Giulia maggiore, figlia di Augusto, o Livia, sua moglie, prima di Tiberio, suo figlio; sconosciuto è il personaggio in secondo piano; la donna dopo di lui è Antonia minore, che tiene per mano il piccolo Germanico, figlio di lei e di Druso maggiore, il quale si trova subito dopo; il gruppo seguente è di Antonia maggiore e i suoi figli Gneo Domizio Enobarbo (futuro padre di Nerone) e Domizia, seguiti da suo marito Lucio Domizio Enobarbo; il personaggio che fa cenno di silenzio a questi bambini parrebbe non essere né Mecenate né Orazio, secondo alcune interpretazioni proposte, ma uno degli Appulei, forse Marco console nel 20 a.C., figlio di una sorellastra di Augusto e fratello del Flamen iulialis.
Il lato nord è peggio conservato e ha quasi tutte le teste dei personaggi rifatte nel XVI secolo. In cima prosegue la processione secondo l'ordo sacerdotum, con gli auguri, forse recanti dipinti o le insegne del loro potere, e i quindecemviri sacris faciundis, riconoscibili dal camillo con l'acerra dai simboli di Apollo; seguono i septemviri epulones, anch'essi identificabili dai simboli dell'acerra del secondo camillo.
Riparte poi, in parallelo con la processione del lato sud, la sfilata dei personaggi della casa imperiale, aperta da Lucio Cesare e da sua madre Giulia maggiore, figlia di Augusto (che quindi sarebbero alla stessa altezza di Agrippa, sull'altro lato); segue un fanciullo abbigliato come un camillo, forse il figlio di Iullo Antonio. A questo punto è la volta di Claudia Marcella maggiore col console Iullo Antonio, e la piccola Giulia minore; poi Claudia Marcella Minore, il figlio e il marito Sesto Appuleio, console nel 29 a.C., del quale i resti sono molto scarsi.
La successione al trono quindi era rigidamente raffigurata in due rami principali, corrispondenti ciascuno a un lato, e iniziava quindi da Giulia o da Agrippa, coi relativi figli, poi i figli di Livia (Tiberio e Druso), seguite dalle due Antonie e le due Marcelle.
La superficie interna del monumento reca nel registro inferiore scanalature verticali simulanti una palizzata, riproduzione di quella provvisoria eretta alla constitutio dell'ara. Questo steccato, presente negli altari romani più antichi fin dal VII-VI secolo a.C., veniva ancora costruito per i templi augurali che precedevano il luogo sacro vero e proprio.
In quello superiore si trovano festoni sorretti da bucrani, cioè crani di buoi con ghirlande, con al centro, sopra le ghirlande, dei phialai. Anche questo motivo deriva dalla costruzione provvisoria lignea del 13 a.C. tra i due ordini corre una fascia a palmette e fiori di loto.
L'altare è costituito da un podio di tre gradini su ciascun lato, sul quale poggia un basamento che presenta altri cinque gradini solo su un fronte, dove passava il sacerdote che celebrava il sacrificio sulla mensa, utilizzata per le offerte delle spoglie di animali e stretta tra due avancorpo laterali.
La mensa occupa tutto lo spazio interno del recinto dal quale è separata da uno stretto corridoio il cui pavimento è leggermente inclinato verso l'esterno. Le due sponde laterali presentano un pulvino di coronamento con girali vegetali e leoni alati.
L'altare è decorato con personaggi femminili sullo zoccolo, allegorie forse delle province dell'Impero, mentre nel fregio superiore che gira all'interno ed all'esterno della mensa vi è la raffigurazione del sacrificio che vi si celebrava annualmente, con le Vestali ed il pontefice massimo (all'interno), accompagnati (nel rilievo esterno) da camilli, sacerdoti vittimarii e dagli animali destinati ai suovetaurilia: di questo rilievo è ben conservata solo la fiancata sinistra.
Sull'altare le figure sono rappresentate ad altissimo rilievo, ben diverse da quelle dei piani sovrapposti nel recinto esterno. Tali contrapposizioni, ben illuminanti sulla bipolarità dell'arte romana, si ritrovano anche negli archi trionfali, nei pannelli con scene di diverso tipo (allegorico e allusivo contro scene tratte dalla realtà idealizzata).
Il monumento è attualmente completamente bianco, ma pare che in origine fosse riccamente colorato; per ricostruirne l'aspetto, in via sperimentale il 22 novembre 2009 dalle 21:00 alle 24:00[60] il lato principale e quello secondario del monumento sono stati illuminati tramite proiettori digitali, sovrapponendo immagini a colori ai fregi reali, con una tecnologia applicata per la prima volta nella storia dell'archeologia su un monumento di età romana; vista l'efficacia del metodo per riproporre al pubblico l'antico aspetto dei monumenti, la tecnica è stata in seguito ampiamente riutilizzata, in modo permanente, presso vari siti archeologici:
In tutti i casi la realizzazione è stata possibile grazie al contributo di:
Il 14 ottobre 2016 è stata avviata l'iniziativa "Ara com'era":[69] mediante l'utilizzo di visori per realtà virtuale Samsung GearVR, il visitatore può osservare l'Ara così com'era oltre 2000 anni fa. I sensori del visore VR (giroscopio, accelerometro, bussola) permettono infatti di ricreare sullo schermo del cellulare posto al suo interno immagini 3D che riproducono il monumento e i suoi dintorni, così com'erano 2000 anni fa, proprio come se l'utilizzatore si trovasse sul posto, ricreando di fatto un ambiente virtuale esplorabile a piacimento; l'esperienza di "realtà virtuale immersiva" permette ad esempio di "volare" virtualmente sul Campo Marzio così com'era nel 9 a.C., o di stare seduti accanto all'Ara e vedere personaggi dell'antica Roma muoversi intorno ad essa e intorno allo spettatore, con la possibilità di guardare tutto intorno a sé a 360°; durante l'esperienza VR è anche possibile osservare l'Ara "in diretta" così com'è oggi attraverso la telecamera del visore, ma al tempo stesso alle immagini reali vengono sovrapposte immagini ricreate dal software, che ricostruiscono le parti mancanti del monumento e la sua colorazione originale (tecnica della "Realtà Aumentata"). Al momento della stesura di queste note (maggio 2017) era possibile osservare solo una sezione alla volta del monumento in Realtà aumentata (posizionandosi in 8 diversi punti di vista), ma tecnicamente, quando l'hardware del visore diventasse sufficientemente potente, sarebbe possibile sovrapporre immagini di realtà aumentata all'intero monumento; invece, l'esperienza di "realtà virtuale immersiva", che utilizza soltanto immagini artificiali e non fa uso della telecamera, ricostruisce l'intero monumento e l'ambiente circostante, ma può essere fruito solo in "modalità statica", stando cioè seduti senza possibilità di muoversi intorno al monumento. Nota tecnica: nelle sessioni di realtà aumentata il monumento è visibile solo in 2D in quanto il cellulare del visore VR è dotato di una sola telecamera; nelle sessioni di realtà virtuale immersiva, invece, essendo le immagini interamente generate dal computer, la visione è in 3D in quanto viene generata un'immagine diversa per ogni occhio.
Lo stesso argomento in dettaglio: Museo dell'Ara Pacis.
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