Alberto Castellani (Empoli, 26 gennaio 1884 – Empoli, 21 luglio 1932) è stato un linguista italiano. È considerato uno dei più eminenti membri della prima generazione di orientalisti italiani.[1]
Figlio di Olderigo, Alberto Castellani fu la figura di maggior spicco della cultura empolese di inizio Novecento. Studioso di letteratura e di filosofia, sviluppò dapprima il suo interesse in ambito teatrale e successivamente si dedicò all'approfondimento delle lingue europee e orientali divenendone uno dei più eminenti conoscitori e uno dei maggiori sinologi nell'Italia a lui contemporanea.[2][3]
Di grande intelligenza e ampia facoltà economica, poté viaggiare molto, dedicandosi allo studio delle lingue: oltre a quelle classiche, imparò il francese, il tedesco lo spagnolo e l'inglese. Si specializzò poi in lingue orientali e dal 1877 al 1921 insegnò storia e geografia dell'Asia Orientale a Firenze. Nella sua breve vita ebbe un incarico di Lingue e civiltà dell'Estremo oriente dal 1925 al 1927 all'Università di Firenze e si dedicò soprattutto alle traduzioni di importanti testi del pensiero cinese:[4] pubblicò infatti la prima traduzione integrale italiana del fondamentale testo taoista, il Tao Te Ching (Il libro della via e della virtù)[5] di Lao Tzu, e una traduzione dei Dialoghi di Confucio.
I legami con il mondo nipponico, favoriti anche dal clima politico degli anni '30, sono testimoniati dalle opere donate dal barone Okura Kishichiro (1882-1963). In qualità di Presidente dell'Associazione di amicizia italo-giapponese, Castellani organizzò a Roma nel 1930 una mostra d'arte giapponese al termine della quale fece dono di alcuni oggetti esposti al Museo d'Arte Orientale. I dialoghi di Confucio, uno dei suoi tanti lavori, sono ancora oggi oggetto di stampa per molti studi in ambito universitario.[1]
Viene citato anche da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere all'interno del Quaderno V, nelle pagine intitolate Noterelle sulla cultura cinese.[6][7][8] Morì a soli quarantotto anni.[2][3]
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